Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  dicembre 03 Sabato calendario

Il cambio dei fogli del Codice atlantico di Leonardo

L’argano, semplicissimo, non l’ha certo progettato Leonardo, ma il risultato è comunque perfetto: una mezza giornata di lavoro per una squadra di quattro persone esterne (più due interne) e il trasloco dei 16 fogli del Codice Atlantico è fatto. Secondo un rito che si compie dal 2008, da quando il Collegio dei Dottori della Biblioteca Ambrosiana, all’epoca presieduto da monsignor Franco Buzzi, intraprese il progetto per l’esposizione al pubblico di fogli diversi per tematiche e argomenti «in modo da permettere ai visitatori di accostarsi alla ricca e complessa personalità di Leonardo». Un rito che «la Lettura» ha potuto seguire in diretta, per la prima volta, mercoledì 30 novembre.
Tre mesi di luce, tre anni di buio. L’esistenza dei 1.119 fogli del Codice Atlantico dell’Ambrosiana si consuma così, sotto i ritratti degli uomini illustri della Sala Federiciana dove 16 fogli che raccontano oltre quarant’anni di vita intellettuale di Leonardo (dal 1478 al 1519) vengono esposti a rotazione (per tre mesi appunto) oppure nella Sala del Tesoro dove gli altri fogli («atlantici» perché dello stesso formato di quello utilizzato all’epoca per gli atlanti geografici) vengono tenuti a riposare lontano dalla luce e dall’umidità (per almeno tre anni dopo ogni esposizione).
Schizzi e disegni preparatori per dipinti; ricerche di matematica, geometria, astronomia e ottica; meditazioni filosofiche, favole e ricette gastronomiche; architettura militare e civile; disegni e progetti per macchine belliche, marchingegni per il volo meccanico e planato; pompe idrauliche e strumenti per il sollevamento dell’acqua: nelle (tre) teche di plexiglas che proteggono i fogli in esposizione c’è una summa dell’universo di Leonardo, lo stesso Leonardo del Ritratto di musico (l’unico dipinto su tavola rimasto a Milano) nella sala da cui si accede alla Biblioteca, lo stesso Leonardo che davanti alla Madonna del padiglione dell’ultimo Botticelli (che morirà nove anni prima Leonardo), già votato alle profezie di Savonarola, in una sala al primo piano avrebbe commentato: «Non sa la prospettiva» (in realtà Botticelli sentendo prossima la fine del mondo metteva la Madonna grandissima in primo piano proprio alla faccia della prospettiva).

Un sandwich farcito: il sistema di scatole in plexiglas che proteggono i fogli è proprio come un grande sandwich farcito a tre strati (la più interna ha le misure del foglio) destinato a mantenere costanti i parametri di temperatura (20-22 gradi), luce (50 lux, ma meglio mantenersi sui 40) e umidità (50-55 per cento). Un grande sandwich che viene prima sollevato «dall’argano», poi poggiato su uno dei due grandi tavoli tecnici al centro della Biblioteca, infine aperto da poche mani rigorosamente coperte da guanti. Uno, due, tre strati e arriva la prima, sospirata conferma: «Tutto a posto». A questo punto si compie la sostituzione dei fogli (quelli nuovi, appena prelevati dalla Sala del Tesoro, erano già pronti in attesa sull’altro tavolo). La teca-sandwich con il foglio sostituito può così tornare al suo posto (sempre grazie al misterioso ma comunque efficace argano).
Basta dunque una mezza giornata, vissuta con estrema attenzione ma senza particolari patemi (forse perché si tratta di un rito ormai da tempo praticato con successo) perché, da adesso a marzo, Leonardo si possa nuovamente mostrare in un’altra parte della sua genialità. Che per tre mesi sarà adesso scandita da disegni e schizzi (punta metallica, penna, inchiostro, matita rossa) per una macchina che solleva e pompa l’acqua, per un meccanismo che apre una prigione «da dentro», per una doppia gru con scarico automatico, per il giardino del palazzo del governatore francese a Milano, per uno studio sui solidi platonici dal De divina proportione di Luca Pacioli, per un anello con diamante e stemma dei Medici, per un’impugnatura di spada decorata da intrecci (nel geniale gioco di rimandi di Leonardo una decorazione può richiamare la conchiglia emblema dei pellegrini di Santiago di Compostela come un fossile di ammonite).
Monsignor Alberto Rocca, direttore della Pinacoteca della Biblioteca Ambrosiana, sovrintende al cambiamento dei fogli (a toccare fisicamente i fogli è Carolina Donzelli), appena rientrato dalla Messa in Duomo: «Lo spostamento dei fogli, che dal 2008 non sono più conservati in 12 volumi di 100 fogli ma separati, ciascuno in un passpartout anacido, è necessario per motivi di conservazione – spiega – ma noi sfruttiamo questa necessità per comporre ogni volta una miscellanea che possa bene rappresentare gli interessi di Leonardo». La conservazione? «È relativamente facile, anche perché i fogli vengono continuamente monitorati e non li maneggia nessuno, ancora più facile se si ha a disposizione un ambiente asettico come il caveau e se sono collocati su scaffali metallici che impediscono attacchi di insetti. In fondo se si sono mantenuti così bene non è perché fossero tenuti nascosti, ma perché li hanno maneggiati davvero poche persone».

E poi, conclude monsignor Rocca, «quale studioso vorrebbe tenere tra le mani un foglio che vale almeno tre milioni di euro?». La cifra è stata calcolata partendo dai 30,8 milioni di dollari pagati in asta da Bill Gates nel 1998 per acquistare il Codice Leicester o Codice Hammer, unico codice leonardesco oggi in mani private. E se si pensa che il Leicester è di soli 30 fogli, il valore dei 1.119 fogli dell’Atlantico fa ancora più impressione. Ma se qualcuno chiede di poterli studiare dal vivo? «Il 99 per cento delle volte la risposta è no, perché dobbiamo garantire la tutela di un patrimonio che non è solo dell’Ambrosiana, ma dell’umanità; oltretutto è molto meglio studiare i fogli sui fac-simili o sulle foto digitali». E quello scarsissimo uno per cento di possibilità a chi vine concesso? «A grandi progetti internazionali... adesso, per esempio, stiamo acquisendo le filigrane, che possono aiutarci a collocare cronologicamente i singoli fogli, che erano stati raccolti nel Codice da Pompeo Leoni non per cronologia, ma per una logica tematica».
Lo spostamento di un foglio («Oggi si sono presi uno shock impressionate, è giusto che si riposino», ironizza monsignor Rocca) rinnova ogni volta una storia estremamente complessa, quella del Codice Atlantico, appunto: allestito (o meglio sarebbe dire ricomposto) «come un manufatto» dallo scultore Pompeo Leoni alla fine del Cinquecento, riuscendo con molte difficoltà a recuperare una parte degli studi autografi di Leonardo («Che grazie al permesso del re di Francia aveva potuto fare testamento, cosa che era impedita agli stranieri») dagli eredi di Francesco Melzi, il fedele allievo a cui il Maestro aveva affidato i suoi scritti in punto di morte («Con il figlio di Melzi, Orazio, inizierà la dispersione»).
Gli eredi di Leoni, che aveva tentato inutilmente di venderli al re di Spagna, cederanno il Codice al conte Galeazzo Arconati, che a sua volta lo donerà nel 1637 alla Biblioteca Ambrosiana; nel 1796 la raccolta venne requisita e trasferita in Francia a seguito della conquista di Milano da parte da Napoleone e rimase al Louvre fino al 1815, quando il Congresso di Vienna sancì la restituzione di tutti i beni artistici trafugati da Bonaparte ai legittimi Paesi di appartenenza. A margine, un aneddoto: l’emissario per la restituzione, non riuscendo a decifrare la grafia inversa di Leonardo (che scriveva normalmente da destra a sinistra), avrebbe scambiato il Codice per un manoscritto in lingua cinese e solo grazie all’intervento di Antonio Canova, a sua volta emissario del Papa, ci si sarebbe resi conto dell’errore e l’Atlantico sarebbe stato incluso nell’elenco delle opere da restituire.
«Il Codice Atlantico è un documento imprescindibile per conoscere il genio di Leonardo – spiega monsignor Rocca —, un genio, il suo, che nasce dalla curiosità nel suo senso più nobile ed elevato, una curiosità che è prima di tutto volontà di conoscere, la stessa volontà di conoscere che lo aveva spinto ancora ragazzo, a Firenze, a fissare per ore l’Arno e che, quando poi farà i suoi disegni dell’acqua, mi hanno spiegato qualche anno fa alcuni ingegneri idraulici di Hong Kong, dimostrerà di avere capito tutto di quei meccanismi».

Certo, la Sala Federiciana, l’antica sala di lettura della Biblioteca, con i suoi ritratti di santi, vescovi, poeti, filosofi, artisti che corrono sul ballatoio e alla base della volta a botte intonacata di bianco, contribuisce non poco a mantenere viva l’attenzione sui fogli: nel silenzio, ora rotto dal rumore (non fortissimo) di un trapano-cacciavite, i tratti di matita, rossa oppure nera, fanno scoprire anche a chi è arrivato in Biblioteca (sono stati circa 0ttantamila i visitatori dello scorso anno), magari inseguendo il Canestro di Caravaggio o il grande Cartone di Raffaello, la voglia di sapere di un genio «guidato – sono ancora parole di monsignor Rocca – dalla convinzione che la mano che disegna non è altro che uno strumento del cervello e, allo stesso tempo, che il disegno sia il simbolo di quella connessione e gli schizzi un modo per comprendere»... Sia che si tratti di un portico brunelleschiano che sembra un acquedotto, di una ruota dentata, di un castello a pianta quadrata, di una bombarda o di una raffinatissima catena. E tutto questo nonostante nel Codice Atlantico manchino del tutto i disegni di anatomia e gli appassionantissimi studi di natura oggi nelle collezioni reali inglesi di Windsor, mentre ci sono l’elenco dei suoi libri (come Marsilio Ficino, «ma chissà se lo avrà tutto» ) e le ultime riflessioni («Nelle sue note scritte poco prima di morire appare stanco, sembra quasi volersi tenere in disparte»).
Qualche altro foglio disperso o sconosciuto? «Noi oggi ne abbiamo circa 4.500 in totale, sparsi in collezioni di tutto il mondo; potremmo forse ipotizzare l’esistenza di qualche altro migliaio, ma è solo un’ipotesi».
Lentamente, quasi senza farsene accorgere, i nuovi fogli di Leonardo («Un genio, certamente, ma anche un uomo del suo tempo, lo stesso tempo di Brunelleschi e di Piero della Francesca...») prendono il posto dei vecchi sotto la volta della Biblioteca e i vecchi, a loro volta, spariscono uno dietro l’altro (sempre grazie alla perizia delle mani guantate di Carlotta Donzelli e sotto l’occhio attento del restauratore Vito Milo) quasi per incanto nella Stanza del Tesoro, dove riposeranno per almeno sei anni. Una lontananza che non deve essere vista come una condanna. Perché, conclude monsignor Rocca, «non va mai dimenticato che le carte del Codice Atlantico sono prima di tutto appunti privati di Leonardo, carte che non sono state viste per centinaia di anni: questa è stata la loro salvezza».