Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  dicembre 02 Venerdì calendario

In morte di Gerardo Bianco

Una vita in direzione Dc. Ostinata, spesso contraria. C’è chi ha detto che Gerardo Bianco, morto ieri a Roma a 91 anni, è stato «il migliore dei democristiani». Lui, che allo scudo crociato e i suoi posteri ha dedicato nove legislature e una interminabile militanza, si è sempre considerato «un uomo normale», da «pasta e fagioli».
IL CORDOGLIO
Racconta altro il cordoglio che l’intera politica italiana, senza distinguo, accorda oggi al professore Diccì nato a Guardia Lombardi, in provincia di Avellino, originario di quella Irpinia che ha dato i natali a un’altra colonna della stagione democristiana, Ciriaco De Mita, scomparso quest’anno.Un ricordo tra i più commossi arriva dal Quirinale, dove il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, compagno di Bianco in mille battaglie nella Balena bianca, piange un «leale servitore delle istituzioni, un politico appassionato, ricco di cultura e umanità». Letterato, meridionalista convinto, latinista di vaglia – quante divagazioni su Orazio e Catullo con il classicista Spadolini – uomo semplice, Bianco è stato un protagonista della storia repubblicana italiana. Cresciuto tra le fila della sinistra Dc, ministro dell’Istruzione nel governo Andreotti, capogruppo in Parlamento. Fondatore del Partito popolare italiano (Ppi) nato dalle ceneri della Dc colpita dalle inchieste di Mani Pulite, poi ancora padre nobile dell’Ulivo. Una paternità che ora gli viene riconosciuta in coro dalla sinistra italiana, «anche grazie a lui è nato il centrosinistra, gli devo molto» sospira il segretario del Pd Enrico Letta.Ma ieri tutto il Senato si è raccolto in un minuto di silenzio. Lo ha chiesto un altro interprete autentico dell’epopea democristiana, Pier Ferdinando Casini. «Piango con immensa commozione e grande nostalgia la perdita di Gerardo Bianco – confida l’ex presidente della Camera in ricordo di «una vita al servizio delle istituzioni e della cultura, un fiore di tolleranza, intelligenza e generosità». E si intenerisce anche Guido Crosetto, ministro della Difesa di FdI, a ripensare all’amicizia personale con «un galantuomo che amava il confronto e rispettava l’avversario».Trasversale il cordoglio, come trasversali furono le simpatie politiche, spesso più fuori che dentro il partito, di questo quieto professore che per quarant’anni ha vissuto in prima linea, giorno e notte, l’aula parlamentare. Dove è sempre approdato sulla scia di fiumi di preferenze. E quando non ce l’ha fatta ne è rimasto fuori. Come nel 1996, quando fu artefice dell’inatteso successo elettorale del neonato Ppi alle urne, 6,8%, tirando la volata a Romano Prodi verso Palazzo Chigi. Rifiutò il collegio sicuro, nel maggioritario, e sceso nella mischia del proporzionale risultò non eletto. Altri tempi. Segretario del Ppi nel 1995, ha traghettato il partito nella drammatica fase terminale della Dc, sotto la scure delle procure e di certa furia giustizialista che Bianco, insieme al suo collega capogruppo al Senato, Gabriele De Rosa, non ha mai tollerato.
IL PERCORSO
Tormentata la transizione alla nuova creatura politica. Scandita da memorabili litigate con il suo arcirivale: Rocco Buttiglione, fautore di una virata a destra dei popolari che Bianco non ha mai avallato, per nulla convinto della fede europeista di Silvio Berlusconi. Finì a carte bollate per decidere chi tra i due, Bianco e Buttiglione, separati da un solo piano nella sede storica a Piazza del Gesù, potesse usare lo scudo crociato nel simbolo. Con il «general Roquito», così ribattezzato dai bianchisti per aver occupato il quartier generale Dc, Bianco siglò infine una tregua.Fu l’inizio di due percorsi paralleli. Rieletto alla Camera nel 2006 tra le liste dell’Ulivo, il professore di Guardia Lombardi preferì stare in disparte dalla nuova «creatura politologica» del Partito democratico. Nel 2008 comunicò il passo di lato leggendo in aula una lettera e fu sommerso da un applauso unanime. Lo stesso che oggi ha accompagnato l’ultimo saluto a un politico fatto di altra pasta.