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 2022  dicembre 01 Giovedì calendario

Intervista a Carlo Messina

C’è un’idea che Carlo Messina ripete più volte nel corso del dialogo con Massimo Giannini, direttore de La Stampa, che lo intervista nella tappa finale dell’Alfabeto del Futuro di Gnn al Grattacielo Intesa Sanpaolo di Torino: «La priorità di chiunque abbia una visione e una responsabilità sociale deve essere aiutare i poveri e tutti coloro che stanno pagando il prezzo più alto della crisi: vale per il governo e i parlamentari, vale per le aziende che stanno facendo utili e devono dare più soldi ai lavoratori, come abbiamo fatto noi stanziando 75 milioni di euro per bonus ai dipendenti». Il banchiere più importante del Paese è ottimista sul futuro dell’Italia, la vede solida, piena di aziende dinamiche e competitive, ricca dei risparmi delle famiglie, guidata da un governo «che non è certo peggiore degli altri Paesi europei, dove non vedo campioni del mondo, e che ha approvato una manovra ragionevole». Per l’ad di Intesa Sanpaolo l’urgenza è superare i prossimi 6-7 mesi, che saranno ancora duri. Poi l’economia si allontanerà progressivamente dall’incubo della guerra e ripartirà. Nel frattempo bisogna pensare ai quasi 10 milioni di poveri. Dimenticarsi dei condoni fiscali, «che rappresentano il peggio». E trattare «con l’Ue per ripensare il Pnrr: subito le opere che possono dare beneficio immediato al Pil, per le altre negoziamo tempi più lunghi».
Partiamo dal quadro macroeconomico. Tutte le principali istituzioni economiche parlano di una recessione inevitabile. Lei che scenari vede?
«Stati Uniti ed Europa vivono situazioni molto diverse. In America l’inflazione dipende in misura molto minore dalla crisi energetica, dunque dopo i rialzi dei tassi di interesse l’inflazione inizia a scendere e ci sono prospettive di crescita a breve termine. In Europa uno scenario di ripresa potremmo vederlo dalla seconda metà del 2023 e certamente nel 2024. La mia visione non è affatto pessimistica, la crescita del mondo è prevista al 2% nel 2023 e al 3% nel 2024. Ma ora è fondamentale, in Europa e in Italia, riuscire a gestire una fase delicata di alcuni mesi, ben sapendo quali sono i punti di forza e di debolezza. Teniamo presente che sui conti correnti del nostro istituto si svolge gran parte delle transazioni del Paese: al momento non vediamo segni di recessione, ma solo di rallentamento».
Dal momento dell’invasione dell’Ucraina la maggiore incognita resta il prezzo dell’energia e questo si intreccia con un ordine planetario da ricostruire. Quanto inciderà tutto questo nelle strutture dell’economia mondiale?
«Il riflesso sarà inevitabile. E al rialzo dei prezzi energetici aggiungo quelli alimentari: oggi anche chi guadagna 2 mila euro lordi al mese deve fare sacrifici. Per questo come Intesa Sanpaolo abbiamo stanziato una misura straordinaria di 85 milioni di euro per le nostre persone. Credo dovrebbero farlo tutte le aziende che stanno realizzando utili, senza aspettare che sia il governo a farsi carico delle difficoltà di chi fa più fatica. Vediamo dei segni di reazione delle imprese: il forte impatto della crisi energetica sulle filiere provoca una riorganizzazione per diversificare la produzione senza dipendere dalla Russia o dalla Cina. Molte aziende italiane già ragionano così, non dobbiamo sottovalutare la capacità dei nostri imprenditori di innovare per essere leader di mercato».
I dati dell’inflazione di novembre lasciano intravedere che la fiammata dei prezzi abbia raggiunto il suo picco. È così? Cosa dobbiamo aspettarci?
«Sì, abbiamo raggiunto il picco. Ciò non toglie che l’energia continuerà ad essere strutturalmente più cara, non ai livelli dei mesi scorsi, ma di certo non si tornerà ai valori pre-guerra. Produrre costerà di più e bisogna prepararsi. Il trend è chiarissimo: potremo avere una fase di rallentamento o recessione tecnica, ma il mondo non finisce. Diamoci delle prospettive positive: se continuiamo a evidenziare le sole difficoltà non vorrei che si finisse per alimentare una profezia negativa. Ricordiamoci che l’Italia cresce più di Germania e Francia, le imprese sono competitive e innovano, il sistema bancario è forte. Il nostro Paese può e deve giocarsela, ma ognuno deve fare la propria parte senza aspettare la manovra del governo per dire cosa avrebbe fatto di diverso. E senza trascurare chi si trova in difficoltà, una parte crescente delle nostre famiglie. Intesa Sanpaolo il suo lo fa: grazie ai 4 miliardi di utili, destiniamo risorse a chi può averne bisogno. Le aziende italiane, quelle che chiuderanno l’anno con utili importanti, possono aiutare. Dobbiamo superare tutti insieme questi 6-9 mesi di difficoltà oggettiva».
Ha citato la manovra e quella parte di Paese che sta pagando il prezzo della crisi: lei crede che la legge di bilancio vada nella direzione giusta?
«Bisogna prendersi cura dei poveri, che oggi sono milioni: è la priorità assoluta per governo e aziende, chiunque abbia una visione e una responsabilità sociale deve fare la propria parte. Venendo alla manovra, il 60% del nostro debito pubblico è in mano a investitori stranieri e Bce: non ci sono grandi margini di azione per il governo se si usano buonsenso e ragionevolezza come la presidente Meloni e il ministro Giorgetti stanno facendo. Non c’è spazio per fare altro debito. È stata giustamente varata una manovra che ha tranquillizzato i mercati, l’Europa ha capito che si è scelta la continuità. Le misure sull’energia erano indispensabili, il taglio al cuneo è positivo, c’erano pochi margini per fare di più. Avrei spinto di più su misure per favorire investimenti e innovazione delle imprese. Nel complesso è una manovra ragionevole».
Sul Reddito di cittadinanza però il governo ha iniziato la stretta sugli occupabili: questo non va in direzione contraria rispetto al bisogno di sostenere chi paga il prezzo della crisi?
«Ho sempre sostenuto il Reddito, perché c’è un forte tema di povertà ed equilibrio sociale da tutelare. Ora dobbiamo porre attenzione alla definizione di “occupabili": se poi non lo sono davvero e non possono avere altre fonti di sostentamento si rischiano davvero forti tensioni sociali. Rispetto agli occupabili è giusto fare una riflessione: è ovviamente meglio offrire un lavoro che un sussidio, ma bisogna capire chi davvero sia in condizioni di età e formazione tali da divenire occupato».
Un altro punto controverso della manovra è il Fisco, tra tetto al contante e multe tolte a chi nega il Pos. Con queste misure veniamo meno agi impegni presi nel Pnrr?
«Il futuro è il digitale, non il contante: è questa la direzione in cui andare. L’evasione è una piaga, che tra l’altro incide negativamente sul rapporto debito/Pil. Mi faccia anche aggiungere che bisognerebbe ragionare bene sui capitali all’estero».
Non penso voglia proporci uno scudo fiscale…
«Credo sarebbe equo far sì che quei soldi vengano investiti in titoli di Stato italiani. Hai due miliardi all’estero? Uno lo investi in titoli del tuo Paese. Così come dovrebbero investire maggiormente in titoli di Stato quei fondi pensione che allocano il 90% delle risorse all’estero. Mentre assistiamo a casi in cui aziende straniere comprano quelle italiane grazie anche ai nostri risparmi».
Che giudizio dà del Superbonus? Lo prorogherebbe?
«Parte dell’aumento del Pil arriva da questa misura, ma non la farei proseguire, al di là degli aspetti che non hanno funzionato. Non può essere una leva strategica di crescita. Tra l’altro più la cessione dei crediti va avanti, più assomiglia ad una moneta parallela».
Si fanno troppi condoni?
«Sì e sono diseducativi, sono il peggio. Le regole vanno fatte rispettare».
Parliamo del Pnrr. Sta crescendo il timore che non riusciremo a rispettare i temi previsti dagli accordi presi con l’Ue. Corriamo questo rischio?
«La burocrazia rende il sistema-Italia non adatto a spendere quei fondi in fretta, chiunque sia al governo. È la macchina a non essere costruita per andare veloce, specie quando si scende dal livello centrale a quello locale. Ci dobbiamo concentrare sui progetti che possiamo affidare a operatori capaci di realizzare progetti in tempi rapidi, come le Ferrovie e Webuild, o come si è visto ad esempio a Genova. Dobbiamo puntare su ciò che si può realizzare in fretta e dare una spinta al Pil e, dall’altra parte, cercare di rinegoziare quegli interventi non realizzabili nell’immediato e che magari potremo concludere nei prossimi anni».
Le politiche monetarie di Fed e Bce hanno ormai virato: dobbiamo aspettarci una stagione di tassi stabilmente in rialzo?
«Siamo vicini al picco dei rialzi. Dalla seconda metà del 2023 dovremo avere condizioni stabili. E sinceramente fino a tassi del 2-3% non vedo criticità, sono sopportabili dalle imprese: i tassi negativi erano una droga. Le banche faranno di tutto per non scaricare tutto l’aumento sulle aziende, ma il 2-3% è un livello realistico e sostenibile».
Lei dice che l’Italia ce la farà: quali sono oggi i punti di forza del Paese?
«Non ho dubbi sulla forza del Paese. La crisi attuale non è nulla rispetto allo scoppio della pandemia: allora il Pil scese del 9%, oggi se tutto va male calerà di uno 0,2 o 0,3%. E da quella crisi ci siamo ripresi molto bene, abbiamo la ricchezza delle famiglie più alta d’Europa, le aziende migliori, un saldo commerciale positivo. C’è il problema del debito pubblico; ma si può gestire con intelligenza: a fronte di 2 trilioni e mezzo di debito pubblico, ne abbiamo 10 di ricchezza. Il Paese è forte».
Ha più sentito Mario Draghi dopo il suo addio a Palazzo Chigi?
«Solo qualche messaggio. Lui è davvero il nostro fuoriclasse».
Ma lo hanno mandato a casa. Va recuperato?
«Se fosse andato a casa a marzo anziché a settembre avrebbe fatto poca differenza. Recuperarlo? Di certo uno come lui non ce l’ha nessuno: né la Francia né la Germania. Ma non dobbiamo pensare che ora in altri Paesi ci sono i campioni del mondo rispetto a casa nostra. Il nostro governo non sfigura rispetto a quelli guidati da Schulz o da Macron». —