Corriere della Sera, 1 dicembre 2022
I brand della sinistra
Nelle due maggiori candidature che allo stato attuale appaiono destinate a disputarsi la segreteria del Partito democratico – quella di Elly Schlein e quella di Stefano Bonaccini – non si confrontano le due anime che erano tradizionalmente presenti nell’antico Partito comunista (l’anima diciamo così movimentista e quella governativo-riformista), le quali sia pure con mille modifiche si sono in seguito riprodotte anche nel Pd. Quelle due candidature non esprimono in alcun modo due diverse linee politiche (e infatti finora né l’una né l’altra ha fatto parola di qualcosa del genere: sembra che nel Pd di politica sia ormai difficilissimo parlare). Appaiono soprattutto due specie di marchi tratti dal patchwork identitario «democrat», i quali entrano in lizza sul mercato elettorale contando sul potere di attrazione delle rispettive immagini. «Con quale brand siamo più accattivanti come partito? Con il brand usato sicuro del “partito dei territori” incarnato da Stefano Bonaccini o con il brand moderno del “partito della soggettività” incarnato da Elly Schlein?»
«Territori» è uno dei tanti termini che nella sua collaudata capacità mimetica la sinistra ha mutuato altrove, in questo caso dal localismo leghista. Lo ha poi per così dire integrato in quella che era da sempre la sua vocazione egemonica espressa nelle amministrazioni dei Comuni e nelle Regioni, specie dell’Italia centrale, e ne ha fatto una propria divisa.
Il richiamo ai «territori» è così diventato un motivo sempre più ricorrente del discorso pubblico del Pd ogni volta che la sua strategia politica nazionale mostrava la corda, ogni volta che l’immagine del suo gruppo dirigente nazionale appariva particolarmente appannata. Richiamare la necessità di dare spazio (alias «valorizzare», «ascoltare», «dare voce») ai «territori» si è trasformata insomma in una specie di mantra equivalente all’evocazione di un benefico ritorno alle origini, alle sane radici, alla «base», alla «gente».
Complice l’omertà che il Paese ha deciso di stendere sulla realtà effettiva del regionalismo nostrano, sulle sue mille promesse mancate e sui suoi costi, le conseguenze di questa esaltazione dei «territori» non si sono fatte attendere. Più o meno in tutta Italia (in misura particolare nel Mezzogiorno) il Pd nazionale ha finito per disarticolarsi di fatto in una serie di feudi regionali nelle mani di singoli capintesta – particolarmente arroganti e permalosissimi quelli meridionali Emiliano e De Luca. Di pari passo è andata acquistando forza l’idea di una quanto mai misteriosa capacità di raccogliere consensi e di vincere le elezioni di cui sarebbero dotati i candidati pd alla guida di Comuni e Regioni. Capacità – vedi per l’appunto una ripetuta affermazione di Bonaccini – che solo per questo, dunque, dovrebbe costituire un titolo per andare a Roma a fare il segretario del partito. Affermazione che tuttavia sorvola con eccessiva disinvoltura sul fatto che tra vincere in Emilia o a Firenze – con un collegio unico maggioritario a doppio turno, avendo l’appoggio in genere di tutti i poteri forti, del Tg3 e del notabilato locale – e vincere invece in Italia, con un altro ma comunque diverso sistema elettorale, con giornalisti malintenzionati in agguato dovunque, e in più una muta arrabbiata di oppositori che t’incalza ad ogni occasione, c’è la stessa differenza che esiste tra il giorno e la notte.
In alternativa al brand «partito dei territori» – con il suo piacevole sapore di antico, con la sua rassicurante immagine di partito-casa interlocutore elettivo di quel che resta degli antichi quadri, della base del tempo che fu – si schiera il brand «partito delle nuove soggettività» di Schlein. È il partito che c’è e non c’è (e infatti oggi come oggi Schlein non figura neppure come iscritta) ma che potrebbe esserci perché potenzialmente già esiste in certa misura nella società. E allora in tal caso Schlein, con la sua eccentrica e varia storia politica, con la sua non convenzionale identità personale, ben a ragione si candida ad esserne in qualche modo la rappresentante ideale.
Brand per antonomasia dei giovani, di tutto quanto di «nuovo» e di «liquido» si agita nella società e della sua voglia di essere riconosciuto, legalizzato e istituzionalizzato, il partito che la figura della Schlein evoca realizza al di là di ogni più audace previsione l’antica profezia di Augusto Del Noce sul Pci destinato a divenire un Partito radicale di massa. Una formazione politica non più vincolata ad alcun referente sociale di tipo tradizionale, ma piuttosto immersa nel flusso del mutamento culturale dei tempi, rappresentante per vocazione di questo mutamento.
Vedremo quale dei due brand si mostrerà più seducente, più capace di attrarre il favore degli iscritti. Ma oltre al silenzio che finora sia Schlein che Bonaccini hanno osservato sulle alleanze, sugli indirizzi programmatici, insomma sulla sostanza politica delle loro rispettive candidature – c’è in ogni caso un dato comune che vale per entrambi. Ed è almeno ai miei occhi un dato assai rilevante, in quanto segna una vera frattura con la vicenda storica della Sinistra. Tanto il partito dei territori che il partito delle nuove soggettività nascono su un terreno che sembra aver ormai archiviato definitivamente la dimensione nazionale, che di fatto ignora tale dimensione e tutto quanto essa implica e significa. L’Italia con il suo passato travagliatissimo carico di straordinarie e molteplici identità; la statualità italiana, la sua sorte e i suoi problemi storici; una modernità irraggiungibile che sempre continua a sfidarci; il Nord e il Sud tuttora non saldati dal Centro; il destino di vita così diverso ma alla fine anche così congiunto degli abitanti della Penisola: nulla di tutto questo mi pare trovi posto nella proposta dei «territori» o della «nuova soggettività» con cui il Partito democratico pensa di affrontare il futuro. Quasi che ormai tra il Pd da un lato e dall’altro il Paese reale e la sua storia si stia consumando qualcosa che assomiglia molto a un divorzio definitivo.