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 2022  novembre 30 Mercoledì calendario

In Congo gli affamati mangiano i morti

Con il suo berretto verde militare, pantaloncini e calzini sporchi di fango, Michel Nganhi sembra più giovane dei suoi vent’anni. Si fa fatica a pensare che sia già padre di due bambini, un maschio di due anni e una femmina appena nata. Michel, insieme a sua moglie e ad altri 300mila sfollati, è in fuga dalla regione del Kivu, dove per la fame e la guerra che si sta consumando nella Repubblica democratica del Congo si è riaffacciata una pratica terribile, macabra, inumana: il cannibalismo. A primo impatto scontroso e restio a parlare con una occidentale, questo giovane dalla stretta di mano franca e forte si lascia andare, con l’aiuto di un interprete dal lingala, a un racconto terribile. «Non avrei voluto lasciare la mia casa, anche se la guerra ci impediva di lavorare la terra e il rischio che i ribelli passassero lungo il nostro villaggio era alto. Ma quando hanno cominciato a mangiare i morti ho capito che non potevamo più restare». «Mai avrei immaginato che un giorno avrei assistito a questi orrori», sussurra infine a occhi bassi. Gli mancano le parole: l’orrore stavolta ha ben oltrepassato la soglia di tolleranza.
Violenze, uccisioni e cannibalismo sono opera del “Movimento 23 marzo”, che Kinshasa sostiene sia manovrato dal Ruanda. A dare sostegno bellico ai militari del Congo sono invece Kenya, Uganda e Burundi, Paesi confinanti che hanno inviato le proprie truppe. La Rdc è da decenni teatro di un lungo e sanguinoso conflitto che coinvolge più di cento gruppi armati nella regione orientale del Paese, ricca di minerali. L’M23 e il Mai-Mai, tra i miliziani più letali nel Nord Kivu e nell’Ituri, si contendono il territorio con le Forze Democratiche Alleate e altre formazioni terroristiche. Il presidente congolese Félix Tshisekedi ha cercato di frenare le violenze con l’esercito dichiarando lo stato d’assedio lo scorso maggio. Il 20 ottobre l’M23, che accusa Tshisekedi di non aver rispettato un accordo per integrare i suoi combattenti nell’esercito, ha lanciato un’offensiva conquistando posizioni strategiche nei pressi di Rutshuru. Negli ultimi giorni la situazione è precipitata portando a un livello di tensione politica e militare tra Congo e Ruanda che non si registrava da decenni. La regione rischia di essere travolta da una guerra su larga scala che può destabilizzare l’intero continente.
I ribelli dell’M23, per lo più guerriglieri tutsi, dopo 10 anni di inattività hanno ripreso a marciare verso i villaggi di frontiera lasciando una lunga scia di morte. Orrori confermati dai missionari impegnati sui fronti aperti di questo conflitto che non smettono di dare accoglienza e assistenza a chi è in fuga. «C’è tanta fame, ma è soprattutto la rabbia che porta ad azioni disumane. A spingere a mangiare i propri nemici, ad esempio, è la volontà a livello ancestrale di umiliare coloro che hanno commesso vere e proprie mostruosità. I congolesi dell’Est, in particolare nella zona di Bukavu e nella foresta vicina dove ho vissuto per anni, hanno subito delle violenze indicibili inflitte dai ruandesi. Neonati uccisi epestati nei mortai di legno che si usano per macinare il cibo. Figli costretti a violentare le loro madri in presenza della famiglia. Ragazzine abusate con grossi piloni. Il mio cuore potrebbe esplodere per il dolore dei traumi causati dai ruandesi», denuncia padre Pietro Rinaldi, missionario saveriano, una vita spesa per il Congo. «Quello che avviene nell’Est del Paese è più grave di ciò che viviamo per ora a Plateau (il secondo fronte al confine con Brazaville, ndr )ma anche qui sta accadendo qualcosa di terribile: si blocca la vita, la violenza porta la paura, si arriva ad atti orribili come mutilare la gente, mangiare la gente… C’è tanta disperazione, c’è tanta fame perché qui si vive con l’agricoltura. Chi lavora la terra mangia, chi non lavora come fa a procurarsi il cibo? La gente ha paura di andare nei campi e rimane a casa. E come fa a mangiare?» aggiunge padre François Mpunga Mukunya, superiore della missione di Plateau della Comunità di don Guanella.
Nonostante l’aiuto che da sempre porta alle popolazioni africane, anche la Chiesa è pesantemente presa di mira dai ribelli. «La parola giusta per definire quanto accade nel Kivu è genocidio, esattamente come di genocidio tra Hutu e Tutsi si parlò portando all’attenzione del mondo un crimine contro l’umanità commesso in Ruanda nel 1994», afferma monsignor Melchisedec Sikuli Paluku, vescovo di Butembo-Beni. «Non parlo semplicemente di persone uccise, ma di veri e propri massacri: donne incinte squarciate, stupro usato come arma di guerra, cose che non si possono ripetere e guardare due volte, tragedie a cui assistiamo ogni giorno», conclude il vescovo lanciando un messaggio attraverso il bollettino di Popoli e missioni. A testimoniare la gravità del momento il massiccio reclutamento di minori congolesi, soprattutto tra i bambini di strada di Kinshasa. Con l’avanzata dell’M23 la situazione ha raggiunto gli stessi livelli di atrocità compiute tra il 1998 e 2003, nel corso della più grande guerra della storia recente dell’Africa che coinvolse otto Paesi del continente e circa 25 gruppi armati.
L’ultimo e più significativo scenario dei combattimenti di oggi è a soli 20 chilometri da Goma, il villaggio di Kukumba, luogo noto anche in Italia essendosi lì consumato l’agguato in cui ha perso la vita il 22 febbraio del 2021 l’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio, insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista del World Food Programme Mustapha Milambo.
In questi ultimi scontri alcuni ufficiali keniani e congolesi erano in prima linea per guidare il respingimento dei ribelli che ha fatto tirare un sospiro di sollievo alle forze armate di Kinshasa. Nelle stesse ore, al termine di un summit a Luanda, capitale dell’Angola, tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo è stato raggiunto un accordo per la cessazione delle ostilità. La tabella di marcia dei colloqui di pace, che si sono spostati a Nairobi, prevede il blocco dell’avanzata e degli attacchi da parte dell’M23, il suo ritiro dalle aree occupate della Rdc e il dispiegamento della forza regionale della Comunità dell’Africa orientale guidata dal Kenya che sta schierando i suoi contingenti a Bunagana, Rutshuru e Kiwanja. Ma il cessate il fuoco per ora è parziale, le violenze proseguono, e sarà effettivo solo dopo il disimpegno e il ritiro di tutti i ribelli verso le posizioni iniziali a Sabinyo. «Se l’M23 rifiuterà di liberare tutti i territori che occupa, i capi di Stato della Comunità dell’Eac daranno istruzioni di usare la forza per spingerlo alla sottomissione», hanno avvertito i promotori dei colloqui di pace impegnati in un disperato tentativo di fermare un conflitto che rischia di scatenare una seconda guerra mondiale africana.