La Stampa, 30 novembre 2022
Breve storia degli schiavi
La schiavitù è un tema enorme, e tutte o quasi le società umane del passato l’hanno conosciuta fino a tempi recenti.
In Europa soltanto con l’Illuminismo qualcuno ha cominciato a pensare che fosse intrinsecamente ingiusta e sbagliata: prima non era mai successo. Sparirà ancora più tardi, nella seconda metà dell’Ottocento. Quindi, ha smesso di essere un problema da non più di 150 anni. Prima, è sempre stata presente, anche in luoghi ed epoche che non ci aspetteremmo. Nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, per esempio, gli schiavi c’erano e lavoravano principalmente nelle case dei ricchi.
Gli storici hanno stabilito una differenza molto netta tra società con schiavi e società schiaviste. Queste ultime sono fondate sulla schiavitù, il che vuol dire che non potrebbero funzionare senza: l’antica Grecia, l’Impero romano, la Georgia e il Texas prima della Guerra civile americana. Nell’Italia del Rinascimento, invece, gli schiavi c’erano ma, se non ci fossero stati, non sarebbe cambiate le cose.
Tacito racconta che nel 61 dopo Cristo, sotto il regno di Nerone, ci fu un delitto grave: l’assassinio, in casa sua, di Pedanio, un prefetto dell’Urbe, un funzionario di alto livello, uno degli uomini più importanti di Roma. Pedanio venne ammazzato da un suo schiavo, nel suo letto, per ragioni non del tutto chiare e di cui a Tacito è abbastanza chiaro che non importa molto. Si diceva che lo schiavo si fosse messo d’accordo con Pedanio per comprare la sua propria libertà, e che Pedanio, dopo essersi detto d’accordo, avesse poi infranto la promessa. Di uno schiavo, infatti, nell’antica Roma il padrone poteva fare ciò che voleva, persino ucciderlo (era di suo proprietà), ma pure restituirgli la libertà, dietro un pagamento di una grossa somma di denaro, che lo schiavo a volte riusciva a mettere insieme perché il padrone poteva decidere di frlo lavorare autonomamente e risparmiare il cosiddetto peculio. Poteva anche succede che lo schiavo avesse dei parenti liberi, e che fossero loro a proporre di comprarlo. Secondo altre voci, invece, Pedanio e lo schiavo erano innamorati dello stesso giovane prostituto (la prostituzione maschile era diffusa quanto quella femminile ed entrambe le cose erano viste come normalissime), e quindi erano rivali d’amore. La legge prevedeva che, quando un padrone veniva ammazzato in casa sua, indipendentemente da chi fosse il colpevole, tutti gli schiavi che vivevano sotto lo stesso tetto dovessero essere crocifissi, per principio, affinché sapessero che è importante difendere il padrone.
Pedanio aveva 400 schiavi in casa sua. Quando a Roma si sparse la voce che stava per consumarsi un’atrocità così enorme, il popolo scese in piazza per impedire l’esecuzione di tutta quella gente. A Roma, in quel tempo, di schiavi ce n’erano così tanti che era difficile distinguerli, e infatti il popolo li considerava gente, persone come loro. Visti i tumulti, il Sensato discusse la cosa. Pur essendoci un imperatore, il senato romano aveva ancora la sua importanza: riuniva i 400 uomini più ricchi di Roma. Per alcuni la legge andava applicata così com’era, per altro, invece, no. È interessante, per noi, l’intervento di Cassiolongino, che spiegò, convincendo poi tutti, quanto importante fosse eseguire la legge, fugando orni remora. Per lui, un uomo di rango consolare ammazzato in casa sua da un complotto di schiavi, che nessuno aveva impedito e denunciato, era un crimine che andava punito perché, altrimenti, nessun padrone sarebbe stato più al sicuro. L’unica sicurezza, infatti, stava per Cassiolongino nel fatto che gli schiavi trovassero conveniente denunciare i complotti. E aggiunse anche che, da quando nelle case dei padroni erano arrivati schiavi stranieri, fedeli di religioni diverse o addirittura senza alcuna fede, l’unico modo per tenere sottomessi quella nuova folla era metterle paura. Dalla possibilità che morissero degli innocenti, che era poi la conseguenza inevitabile di una mattanza tanto indiscriminata, Cassiolongino consigliò di non farsi condizionare troppo: per lui, la storia insegnava che per tutelare l’interesse pubblico, succedeva spesso che morissero degli innocenti.
Quando un reparto militare si mostrava vigliacco davanti al nemico, ricordava Cassiolongino, il comandante aveva il potere (e il dovere) di decimarne le unità: si tirava a sorte e un soldato su dieci veniva ammazzato.
Quei 400 schiavi vennero quindi crocifissi con l’assenso pieno di tutto il senato, nonostante i tumulti inferociti del popolo romano.
Facciamo un salto in avanti di qualche secolo e arriviamo al Seicento, quando la colonizzazione spagnola e portoghese delle Americhe aveva riportato in auge la schiavitù nella vecchia Europa, che pure non l’aveva mai abolita, ma di fatto non si era opposta al suo diradarsi.
Dionigi Carli di Piacenza, un frate missionario cappuccino, arriva in Brasile e vede per la prima volta degli schiavi neri. Racconta che le strade ne sono piene. A quattro, a sei, a otto, ci sono uomini incatenati tra loro per le mani e il collo. E lui dice che al principio gli hanno fatto compassione, ma poi ha capito che si tratta di persone che, se non venissero obbligati, non lavorerebbero. Così gli raccontano tutti, e lui non fa troppa fatica a crederci. Poi, il nostro frate si imbarca e parte per l’Angola su una nave carica di schiavi: seicento mori che «come si costuma, sono marchiati a fuoco con lo stemma del loro padrone». I maschi sono ammassati nella stiva, in fondo, al buio, chiusi, perché se fossero liberi di muoversi potrebbero dar fuoco alla nave o addirittura buttarsi in mare e affogarsi, convinti come sono che i portoghesi li stiano portando in Europa per ucciderli e fare l’olio dai loro corpi. Dionigi Carli racconta anche di aver provato a spiegare a quegli uomini che le loro erano credenze sciocche, superstizioni infondante, ma niente da fare: loro continuavano a fare di tutto per buttarsi in mare perché, scrive testualmente, sono stupidi, ostinatamente stupidi.
Oggi, dobbiamo fare un grosso sforzo per non provare orrore per questo frate, ma per lui, e per moltissimi uomini del suo tempo (la maggior parte degli uomini del suo tempo), davvero tutto questo era ovvio, naturale. Vi ho raccontato solo due dei moltissimi esempi che la storia fornisce di questo passato atroce.
Non c’è alcuna garanzia che la storia sia progresso e che le cose vadano migliorando, ma qualche progresso vero, di tipo morale, nel nostro vivere insieme lo abbiamo compiuto: uno di questi è il fatto che la schiavitù è ritenuta a lungo qualcosa di scontato e giusto, mentre noi oggi diamo per scontato che sia inaccettabile. Non è poco.