La Stampa, 29 novembre 2022
Il comodino di Elon Musk
«Dimmi con chi vai, ti dirò chi sei». Oppure, come in questo caso – ennesima variante del noto proverbio –, «dimmi cosa ci appoggi sopra, e ti dirò chi sei». Specialmente se si parla del comodino di Elon Musk, una mensola pienissima offerta «pornograficamente» (e in modo assai compiaciuto) allo sguardo degli utenti di Twitter. Un’immagine che lo stesso neo-patron del social commenta con un ammiccante e autoironico commento sul fatto che non esistono scusanti alla sua mancanza di sottobicchieri. E si tratta di una tipologia di umorismo che ricorda da vicino quello delle sottoculture geek e nerd, termini e «gruppi socioinformatici» non coincidenti, ma che condividono «una certa (discutibile) idea del sense of humour», a lungo underground e poi dilagata sull’onda della rivoluzione digitale e della loro egemonia culturale sulla società delle reti.
Detto questo, in effetti, non si può che convenire sulla carenza di sottobicchieri sul ripiano di un bedside table dove c’è una catasta di lattine vuote e una bottiglietta «in libertà». Mentre sotto il suo tweet si trovano svariate centinaia di migliaia di like e una valanga di apprezzamenti per la «trasparenza» – un pilastro dell’Ideologia californiana (e della sua falsa coscienza) – manifestata dal tycoon verso gli internauti. Come insegnava il sociologo Erving Goffman, la vita sociale è una rappresentazione, e si fonda su quella «sottile linea rossa» che divide il palcoscenico (lo spazio pubblico nel quale gli individui cercano di «recitare» al meglio la loro «parte») e il retroscena (il backstage dove sono veramente loro stessi). Una distinzione che la vetrinizzazione postmoderna ha parzialmente rimesso in discussione, e che da sempre i comportamenti di Elon Musk, che si atteggia a profeta del capitalismo delle piattaforme, non contemplano. Per ragioni che sono, al medesimo tempo, psicologiche ed economiche – anche se risulta difficile stabilire con il giusto grado di precisione quale sia l’ordine gerarchico dei fattori nella sua miscela di incessante marketing autopromozionale, personal branding (due fondamenti della Me-economy smaterializzata), autoritarismo, narcisismo, hybris e desiderio sconfinato di piacere (a loro volta, tratti distintivi della sua autofiction quale «genio innovatore»).
Oltre all’accumulo di Diet Coke e alla bottiglietta di acqua, in linea con quello stile di vita (tendenzialmente) salutare che identifica un must della Californian way of life, ci sono vari altri oggetti emblematici, che – date le dimensioni del tavolino – configurano un arsenale a tutti gli effetti. Un Musk decisamente in stile Secondo emendamento, anche se le armi accanto alle quali dorme (o dormirebbe nella sua autonarrazione visuale) non sono «da fuoco». Una delle due pistole sembrerebbe una riproduzione di un’arma del videogioco sparatutto cyberpunk Deus Ex: Human Revolution, nel quale affiorano parecchie tematiche di quel transumanesimo di cui Musk è un alfiere – dal potenziamento corporale attraverso protesi tecnologiche alla sostanziale cancellazione dello Stato da parte di multinazionali che assumono tutta una serie di funzioni collettive, a partire dal mantenimento dell’ordine pubblico. L’altra è la copia di una pistola a pietra focaia «in dotazione» all’epoca della Rivoluzione americana, collocata in una scatola illustrata da un quadro iconico della storia statunitense, Washington attraversa il fiume Delaware di Emanuel Leutze (1851). Ambedue esemplari simbolici di armi, quindi, ma il segnale che arriva, quello che deve imprimersi sull’immaginario, risulta chiarissimo. A completare la «natura morta» della mensola vicino al letto di Musk c’è un ultimo oggetto riconducibile al Buddhismo tibetano (con alcune venature New Age), che rimanda ad un impasto non ben decifrabile di potenza, meditazione, superamento delle facoltà umane. Un grande caos che restituisce plasticamente quello introdotto dall’imprenditore di Neuralink e SpaceX in seno al social network dell’uccellino blu, mentre se ne va spasmodicamente e ansiosamente alla ricerca di un modello di business redditizio per ripagarsi del mega-esborso effettuato per l’acquisto. E, al tempo stesso, dei «segnavia» che denotano una scelta politica netta. Quella dell’«elefantino repubblicano» (tra il «condono» a Donald Trump e l’endorsement a Ron DeSantis), in attesa magari di una discesa in campo in prima persona, come scriveva domenica nel suo editoriale Massimo Giannini. C’è il tycoon campione del postumano e del tecno-ottimismo (in salsa neoliberista e socialdarwiniana), che vuole portare l’umanità – o, per meglio dire, la sua componente più ricca e privilegiata – su Marte e rivoluzionare in maniera permanente il settore della mobilità, e che opera attivamente per oltrepassare i limiti della biologia (incluso il tentativo di rendere effettiva l’aspirazione all’immortalità). E c’è il «patriota» (ancorché lesto nello sfruttare i vantaggi fiscali e di investimento della globalizzazione), mix di tecnopopulismo, anarcocapitalismo e libertarismo, ed esponente della versione di destra della Silicon Valley e della Californian Ideology.
Il Musk bifronte. O, a guardare più attentamente, due volti che si integrano alla perfezione.