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 2022  novembre 29 Martedì calendario

L’ultimo giorno di Draghi

Pubblichiamo un brano dell’ultimo capitolo de “L’inquilino” (Feltrinelli) di Lucia Annunziata, in cui si racconta la mancata elezione di Mario Draghi al Quirinale e la caduta del governo.
Chi parla fa parte del gruppo di uomini che l’allora presidente del Consiglio Draghi si era portato a Palazzo Chigi


E il caso Belloni come lo hai valutato? «Mi mancano dei pezzi. Lei è bravissima, io sono molto di parte con lei. Lo ammetto perché sono molto affezionato a Elisabetta. Penso sia tra le cinque persone migliori di questo Paese». Forse è stato un errore metterla lì? «Elisabetta Belloni al Dis è stata una delle migliori scelte del governo Draghi: Elisabetta sarà la grande riformatrice e modernizzatrice dei Servizi e risolverà uno dei nodi più complessi del sistema-Paese. Se fosse rimasta alla Farnesina, avrebbe forse dato meno pretesti ai suoi avversari per non volerla al Quirinale, ma comunque non sarebbe bastato, e al Colle lei non sarebbe ascesa: l’odio che alcuni hanno verso di lei precede il suo arrivo al Dis. Noi l’accettavamo volentieri, eh. Ma era una candidatura fragile. Forza Italia non la voleva». Come viene fuori il nome? «Viene fuori sull’asse Salvini-Conte, più Conte che Salvini. Essendo questo l’ennesimo paradosso di questo personaggio incredibile. Perché quando noi togliamo Vecchione e mettiamo la Belloni, io mi ricordo le urla di Conte al telefono. Le urla».
«Comunque lasciamo perdere, quella roba lì nasce male, la roba di Elisabetta è subito fragile. Poi Renzi come al solito… Renzi avrebbe voluto eleggere Casini, lui era straconvinto di eleggere Casini». Sì, e il venerdì ci vanno molto vicini.

«Sabato mattina fanno le riunioni per eleggerlo, quando Draghi e Mattarella si sono già parlati. C’è un momento che è divertente. Draghi torna qui sabato mattina e chiama i leader per dirgli che bisogna salvare la maggioranza, il Paese, e bisogna votare Mattarella. Nel frattempo Renzi faceva le riunioni con Franceschini per votare Casini. Sono due esplorazioni simultanee. Volevano votare Casini la mattina, portava 200 voti, e lanciarlo in quella del pomeriggio. A quel punto tutto un pezzo di destra disordinata dice: “Noi mettiamo Draghi”, così fra Draghi e Casini alla fine vince Draghi. Pero Draghi aveva già capito. Di quella settimana complicata, in cui noi usciamo sconfitti, la coda la gestiamo però molto bene. Perché non cadiamo nell’illusione di poter rientrare in gioco e gestiamo un’uscita ordinata, che è quella che ci consente di rimanere qua».
Quindi martedì Draghi era ancora in ballo, mercoledì capite che è finita. «Tra martedì e mercoledì. Già martedì sera era come se già lo sapessimo. Perché dopo due giorni Salvini non dice nulla. Mercoledì è chiaro che questa roba non sta più in piedi. Due giorni da incubo. Perché incubo? Perché vediamo che c’è un tentativo di distruggere Draghi, cioè di fare una cosa contro Draghi. Quindi iniziano due giorni pesanti da mercoledì pomeriggio».
Voi non ve lo aspettavate? «Alcune cose non le avevamo viste. Primo, l’asse Salvini-Conte, che sapevamo esistere ma non sapevamo che fosse uno degli assi prevalenti. Questo è uno. Secondo, il comitato Casini. Il comitato Casini è stato affascinante, devo dire, perché è stato l’unico barlume di politica di questa settimana. Casini era il vero attacco a Draghi. E sono stati bravissimi. Mentre in Parlamento non è mai stato così forte, Casini a un certo punto è cresciuto moltissimo sui giornali, in televisione. Alla fine poteva spuntarla, e sarebbe stata una cosa contro Draghi. Quello era lo sfondamento, il commissariamento di Draghi. Era la vecchia politica, la Prima Repubblica. Insomma, tra mercoledì pomeriggio e venerdì mattina c’è il timore di prendere una sberla…».
Lui di che umore era su questo? «Cattivo. I giorni immediati sono stati brutti». Invece quando è cominciata l’uscita? «Venerdì, venerdì pomeriggio». Infatti lui venerdì andò a casa abbastanza presto. Mi pare venerdì pomeriggio. Si era capito che ci si poteva salvare. Lui è stato bravo perché non ha ceduto alla tentazione di rientrare in gioco, perché non sarebbe rientrato in gioco».
Avete poi fatto una riunione su questo risultato? «No, chiacchiere. Parlavamo tantissimo. Quello è stato il punto di svolta in cui ci siamo trovati. Poi vediamo se andremo avanti in questo governo bizzarro. Pero quello è stato il momento della svolta. Ci siamo sentiti tutti i giorni».
Game over. Torniamo a quel momento. «A un certo punto, venerdì già in mattinata, ma fu chiarissimo il pomeriggio, abbiamo avuto la prova che Salvini non è che stava fregando noi, Salvini stava fregando se stesso. Non riusciva. Sai quando comincia a dire Cassese, Massolo, era evidente che non c’era più nessuno che dava le carte. Il mazziere aveva perso il mazzo».
E Letta si è comportato abbastanza bene? «Sì, si è comportato bene perché non ha mai detto no. Letta era per tutti i nomi fuorché la Casellati. Tutti. Cioè Amato, Casini, Belloni. Tutti. Cassese. Tutti. Tutti i nomi che uscivano, lui diceva di sì. A parte la Casellati. Tant’è che sulla Belloni lui è rimasto spiazzato perché a un certo punto gli si è scatenato il partito contro». Stiamo parlando di Letta Letta? «Sì. In questa partita c’è stato solo un Letta, perché all’altro Letta, Gianni, non hanno fatto toccare palla».
Sottrarre Gianni Letta al negoziato ha significato nei fatti eliminare la possibilità di costruire davvero un confronto fra parti, se non una mediazione. Il mio interlocutore non risponde direttamente. Ma risponde, non evita la questione. «Gli è stata inibita la possibilità di parlare con Berlusconi. Gianni Letta non ha parlato con Berlusconi in quei giorni ed è uscito completamente fuori dai giochi. Per Forza Italia hanno giocato Tajani e Ronzulli».
Silenzio. Pesa la domanda. Sul futuro. La domanda sulla fine.
«Io non sono ottimista, ma il voi non è ancora maturo qua. Io non ho ancora capito bene il presidente che cosa vede. Il presidente non vuole essere logorato e non vuole intestarsi una sconfitta sul Pnrr. Io sono manifestamente pessimista perché mi pare che questi signori… i gruppi dirigenti dei partiti sono convinti che quale che sia lo sviluppo della situazione, si salveranno. È la pulsione di morte freudiana, proprio quella al di là del principio di piacere, che li anima fortissimo. L’istinto. Cioè a loro non gliene frega niente del Pnrr. Loro non sopportano di non poter gestire il potere. Loro sono stati estromessi quest’anno dalla gestione del potere. L’idea di non toccare palla su Fincantieri, Invitalia, Snam ecc.».
Adesso comincia la stagione delle nomine… «È cominciata. A fine marzo. Li fa impazzire».
«Sai, dopo le elezioni ci sarà l’Eni, l’Enel, Leonardo, Poste e tante altre. Quindi sarà un problema capire quando piazzi le elezioni. Perché ammesso e non concesso che questo governo vada avanti e non si voti prima, se voti l’anno prossimo… Io sono pessimista, non vedo le condizioni affinché questi ci vengano dietro. Su certe cose non possiamo non chiudere tassativamente perché verremmo meno a degli impegni presi sul Piano. Faccio l’esempio del Pnrr, se a giugno non soddisfa gli accordi presi, invece di darti tot miliardi, te ne danno il 20 per cento in meno».
Ma Draghi ha davvero intenzione di lavorare ora un po’ più con il Parlamento e i leader politici?
«Lui secondo me è sincero in questo. Questo lo abbiamo fatto. Il governo è andato sotto sull’Ilva, ma quella è una questione parlamentare. E una questione politica».