Estratto dell'articolo di Stefano Cingolani per “Il Foglio”, 28 novembre 2022
QUANT’È DIFFICILE “DERUSSIFICARE” L'ECONOMIA ITALIANA – L’IMPIANTO PETROLCHIMICO DELLA LUKOIL A PRIOLO, IN SICILIA, NON È L'UNICO “PRINCIPATO” RUSSO IN FASE DI SGRETOLAMENTO NEL NOSTRO PAESE – IN CINQUE ANNI, DAL 2005 AL 2010, GLI INVESTIMENTI DA MOSCA IN ITALIA SONO PASSATI DA TRE MILIONI DI EURO A UN MILIARDO – “IL FOGLIO”: “I POSTERI CI DIRANNO SE GLI ITALIANI SONO SOLO PREDE O ANCHE COMPLICI, VISTO CHE HANNO MESSO IN MANI RUSSE IL SECONDO OPERATORE TELEFONICO (WIND), L’ACCIAIERIA PIÙ GRANDE DOPO L’ILVA (LUCCHINI) E IL MAGGIORE GRUPPO ENERGETICO NAZIONALE (ENI)” -
Si sta disgregando in questi giorni il principato di Priolo, il più consistente impegno industriale in Sicilia e uno dei maggiori in Italia, assunto dal Cremlino e dai suoi amici. Sembra inappropriato chiamarlo principato? E come allora, dominio, protettorato, forse oblast? Adesso è finita o meglio siamo all’inizio di una fine che potrà essere lunga, complicata, dolorosa.
La Lukoil con l’Isab, il suo grande impianto di raffinazione, è il perno dell’intero polo petrolchimico siciliano, ma i russi, incappati nelle sanzioni, dovranno mollare. Non è chiaro come, quando, chi li sostituirà, mentre monta l’onda nazionalizzatrice che spinge affinché il governo prenda in mano la guida. […]
L’impero del gas aveva trasformato il Bel Paese in una colonia e dalle steppe sono scesi a frotte principi, boiardi, governatori, oligarchi: hanno portato truppe, ma soprattutto le hanno trovate in loco; hanno speso rubli, ma per lo più hanno incassato vagonate di euro.
Gazprom, Lukoil, Rosneft, Severstal, Vimpel, Renova, per citare i più noti, sono marchi dietro i quali spuntano i volti dei grandi oligarchi. Quanto agli italiani, i posteri ci diranno se sono solo prede o anche complici visto che hanno messo in mani russe la terza raffineria del paese, il secondo operatore telefonico, l’acciaieria più grande dopo l’Ilva e il maggiore gruppo energetico nazionale. Stiamo parlando di Isab, Wind, Lucchini, Eni e molto altro ancora. Hanno danzato a suon di balalaika banche come Unicredit, assicurazioni come Generali, bandiere del made in Italy come Armani, Pirelli, Barilla, solo per citarne alcuni.
In cinque anni, dal 2005 al 2010, è avvenuta la “russificazione” dell’economia: gli investimenti sono passati da appena tre milioni di euro nel 2005 a un miliardo nel 2009. Lombardia, Veneto, Emilia, Toscana, Sicilia sono le regioni più esposte, oltre cinquanta imprese con circa 11 mila dipendenti, metalli, acciaio, gas e petrolio, turismo, alimentare, ma anche tecnologia informatica e aeronautica (nel 2007 viene firmato un accordo tra Alenia e Sukhoi per il Superjet 100).
Un’espansione guidata dalla politica, quella stessa politica che spinge la Lega, Forza Italia e il M5S a fare tutt’ora da sponda a Vladimir Putin, e divide la variegata galassia della sinistra, a cominciare dal Partito democratico.
In quel quinquennio fatale sono arrivati Aleksei Miller, l’amico al quale Putin ha affidato Gazprom, mentre all’altro sodale Igor’ Secin spettava Rosneft, il colosso petrolifero di stato. E’ sbarcato Michail Fridman, uno degli oligarchi più potenti e intelligenti che ha preso il controllo di Wind con il gruppo di telecomunicazioni VimpelCom, poi il boiardo di ferro e carbone Aleksej Mordašov, considerato forse l’uomo più ricco di Russia, che con la sua Severstal aveva raccolto dalle braccia esauste di Luigi Lucchini l’acciaieria di Piombino.
Nel 2006 l’Eni non solo ha firmato un accordo trentennale per la fornitura di metano siberiano, ma ha stretto “un patto strategico”, come disse l’allora amministratore delegato Paolo Scaroni, portando i russi anche nella distribuzione e nell’elettricità, insomma fino a riscuotere le bollette. I legami d’affari sono diventati davvero vasti e non tutti sono andati bene. Al largo di Piombino resta solo il mega yacht di Mordašov che nel 2017 ha venduto l’impianto italiano agli algerini di Cevital, i quali l’hanno poi ceduto agli indiani di Jindal.
La Wind è passata ai cinesi di Hong Kong e si è fusa con H3G. Renova che possiede una vasta gamma di attività in Italia e controlla la Octo Telematics, società romana leader nelle scatole nere per auto e nel car sharing, è entrata nel mirino così come il suo proprietario Viktor Feliksovic Veksel’berg, gran collezionista di uova Fabergé. Qui siamo già ai confini della sicurezza nazionale. Quanto all’Eni, con l’arrivo alla guida di Claudio Descalzi ha ritrovato la propria vocazione industriale, innovando, scavando pozzi, cercando una difficile alternativa agli idrocarburi, mentre dall’invasione in Ucraina si è lanciata in un vero tour de force per trovare alternative al gas siberiano […]
La storia di Priolo è meno raccontata e val la pena cominciare dall’inizio, dall’acronimo LUK che diventa il marchio del secondo gruppo petrolifero mondiale dopo l’americana Exxon. La società poi chiamata Lukoil nasce quando l’Unione sovietica sta morendo. Artefice è Vagit Jusufovic Alekperov, allora viceministro del gas e del petrolio. […]
Nel 1990 è appena diventato viceministro, il più giovane mai arrivato in quella posizione, quando il Leviatano comunista implode. Vagit non ha intenzione di farsi travolgere, cavalca l’onda, segue la svolta dei riformisti, in dieci anni accumula un patrimonio che lo colloca al quarto posto tra i più ricchi della nuova Russia prima ancora che Vladimir Putin prenda in mano le redini dello stato. Non fa parte, dunque, dei magnati che debbono tutto al nuovo zar, Alekperov assomiglia più a Michail Chodorkovskij che a Miller o a Secin. Ma non ha mai sfidato il potere, è sempre rimasto fuori dai riflettori nonostante la sua ricchezza.
Religioso anche se si definisce né musulmano né cristiano, colleziona francobolli e si è distinto durante la pandemia per le sue donazioni. In aprile, con l’invasione dell’Ucraina e le sanzioni, ha lasciato le redini della Lukoil, diventata la seconda al mondo dopo la Exxon. Nel 2002 aveva varcato gli oceani acquistando le pompe di benzina della Getty Petroleum negli Stati Uniti e allargando così la sua già vasta rete distributiva. L’Italia appare sul suo radar nel 2008 quando la Erg della famiglia Garrone decide di uscire dalla grande raffineria di Priolo. […]
Nel 1975 quando il greggio era schizzato in alto quattro volte più che pochi anni prima, nasce la Isab che nel 2002 integra anche la ex Agip di Priolo, diventando uno dei più efficienti complessi petrolchimici europei, finché non scoppia la bolla finanziaria nel 2008. Garrone non ce la fa, vira verso le fonti rinnovabili e, sia pure a tappe, cede la società alla Lukoil che dal 2013 possiede il 100 per cento attraverso una società lussemburghese.
Crisi economiche, lotta all’inquinamento, magistratura, competizione internazionale, riconversione ecologica, l’intero polo siracusano è sottoposto a una serie di scosse telluriche. Finché Putin non invade l’Ucraina. La Lukoil se la cava meglio di altre compagnie russe, all’inizio solo Gran Bretagna e Australia la iscrivono nella lista nera. Il petrolio non segue le sorti del gas, ma arrivano gli Stati Uniti e anche l’Unione europea si allinea.
L’ultima goccia di greggio russo sgorgherà nella prima settimana di dicembre. Le banche s’allarmano e chiudono i rubinetti. Lukoil incarica i banchieri d’affari di cercare un compratore, ma non vuole fondi a stelle e strisce. E allora? Allora cala in Sicilia lo stato petroliere. I sindacati e i poteri locali sono uniti nel chiedere la nazionalizzazione come ha fatto la Germania per la raffineria della Rosneft. Ed è cronaca di questi giorni. L’impianto è buono, ma le raffinerie sono un business del passato e stanno smobilitando via via in tutta Europa.
Non la pensano così a Priolo dove tirano in ballo l’Eni. Marina Noè, presidente dell’Assoporto di Augusta, ha proposto direttamente “l’ingresso dello stato nella proprietà attraverso l’Eni”. Benché la Isab non sia sottoposta a sanzioni, il fatto che sia riconducibile alla Lukoil ha spinto le banche a interrompere il credito. L’azienda è stata costretta ad approvvigionarsi esclusivamente dal greggio di Mosca, ma dal sei dicembre, quando scatta l’embargo, potrebbe trovarsi senza prodotto da raffinare.
Il governo Meloni ha emesso una lettera per rassicurare gli istituti bancari e riaprire i flussi di credito. Un tentativo non andato a buon fine, secondo Noè: “Le banche sono rimaste immobili, e questo crea un problema sia a livello nazionale, visto che Isab soddisfa gran parte del fabbisogno petrolifero del paese, sia territoriale per la perdita di migliaia di posti di lavoro. Deve essere fatto un passo avanti verso la compartecipazione, se non addirittura l’acquisizione completa, della Lukoil da parte dello stato”.
All’Eni non risultano né proposte né tanto meno pressioni da parte del governo, fino a questo momento. “L’ipotesi non è mai stata considerata”, è la posizione ufficiale. La compagnia deve rispondere agli azionisti privati che hanno il 70 per cento del capitale: come spiegare loro l’ingresso in un’attività considerata obsoleta mentre si riconvertono gli impianti di Gela e Porto Marghera per produrre bio carburanti? A Priolo il “cane a sei zampe” possiede un petrolchimico e non ha intenzione di compiere passi indietro. Può darsi che si ricorra a una società veicolo, partecipata da aziende pubbliche, banche “di sistema”, fondi sovrani (e sovranisti). E’ tutto nelle mani del governo Meloni.
Nessuno oggi vorrà chiudere l’Isab anche se la logica economica lo consiglierebbe, tuttavia lo stato non è in grado di sciogliere tutti i lacci e lacciuoli russi. Sganciarsi non è facile né per la Sicilia né per l’Italia nel suo insieme. […]