1 - «REGIME PRIGIONIERO DI UNA STRATEGIA ERRATA LA RIVOLTA NON È POLITICA», 28 novembre 2022
“NON SOTTOVALUTO LE PROTESTE IN CINA. MA CHIEDONO LIBERTÀ DI MOVIMENTO, NON LIBERTÀ POLITICA” – IL POLITOLOGO IAN BREMMER NON CREDE CHE LE MANIFESTAZIONI CONTRO I LOCKDOWN SIANO IL SEGNO DI UNA RIVOLTA CONTRO IL REGIME COMUNISTA: “ALLA FINE QUELLA STRATEGIA PROVOCHERÀ PIÙ DANNI ECONOMICI CHE DISASTRI POLITICI. MA DA QUESTO A PENSARE CHE POSSA TRABALLARE CE NE CORRE. XI JINPING È SOLIDISSIMO; LA RIBELLIONE È LOCALIZZATA; E LA TIENANMEN, ANNO 1989, APPARTIENE ALL'ERA PREDIGITALE, QUANDO IL REGIME NON AVEVA ANCORA FORMIDABILI STRUMENTI ELETTRONICI DI SORVEGLIANZA E REPRESSIONE…” -
Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera” «Il regime cinese è in forte difficoltà: ha scelto una strategia di contenimento della pandemia che si è dimostrata poco efficace, ma non può più cambiare rotta. Le tensioni continueranno, così come i danni all'economia, ma non facciamo paragoni con la rivolta della Tienanmen: non stanno in piedi».
Ian Bremmer, il politologo che ha fondato e dirige Eurasia, è perentorio: «Quello fu un movimento di chiara connotazione politica che portò in piazza milioni di persone per oltre due mesi. Qui fanno notizia le ribellioni di gente esasperata dopo anni di lockdown a singhiozzo. Ma si tratta di comunità relativamente limitate. Furibonde certo, ma chiedono libertà di movimento, non libertà politica».
L'apparenza; però, è quella di una rivolta che, in Cina, non ha precedenti negli ultimi decenni per intensità e durata. «Non sottovaluto il fenomeno. Tra l'altro all'inizio della pandemia noi di Eurasia indicammo come maggiore rischio internazionale la strategia "Covid zero" della Cina. E non c'è dubbio che questa sia la crisi più grave che Xi Jinping si è trovato ad affrontare da quando, dieci anni fa, ha preso la guida il Paese. Ma alla fine quella strategia provocherà più danni economici che disastri politici».
Perché esclude un'escalation delle ribellioni con conseguenze anche per il presidente Xi Jinping, visto che in piazza si cominciano a sentire slogan urlati contro il Partito comunista e anche richieste di dimissioni del leader? «La protesta è concentrata nei grandi centri industriali, soprattutto a Shanghai, la città più ricca e istruita del Paese. E la più esasperata. Non mi sorprenderebbe se Xi reagisse, oltre che con la repressione, punendo dirigenti locali del Partito comunista: in una città come Shanghai non puoi solo usare il pugno di ferro, devi mostrare che ti assumi le tue responsabilità.
Ma da questo a pensare che il regime di Xi possa traballare ce ne corre. Per tre motivi: perché il leader è solidissimo avendo eliminato tutti i possibili avversari; perché, come dicevo, stavolta la ribellione è localizzata ed è alimentata da esasperazione e non da una volontà di abbattere il regime; e perché la Tienanmen, anno 1989, appartiene all'era predigitale, quando il regime non aveva ancora i formidabili strumenti elettronici di sorveglianza e repressione con i quali oggi può individuare e colpire all'istante ogni singolo dissidente».
Ma se ha scelto una strategia sbagliata, perché il governo cinese, che comunque un problema di consenso popolare ce l'ha, non cambia rotta ad esempio avviando una campagna di vaccinazioni di massa, usando sieri più efficaci? «Perché quando hai puntato per anni sui lockdown e i test di massa, dando meno peso alle vaccinazioni, peraltro non disponendo di un vaccino efficace, è difficile cambiare: non solo perdi la faccia, ma è difficile convincere la gente che fin qui non si è vaccinata.
Soprattutto ora che sappiamo che anche i migliori vaccini occidentali proteggono dalla malattia grave ma non dai contagi che oggi sono il principale problema della Cina. Anche negli Stati Uniti è stato ed è tuttora difficile convincere la gente, dai vaccini all'uso delle mascherine».
E in campo economico cosa accadrà? «Fabbriche che lavorano a singhiozzo, catene della distribuzione dei prodotti ancora in crisi. Xi sta cercando di allentare un po' i vincoli, nelle città e nella produzione. E lui stesso ha fatto la scelta simbolica di partecipare al G-20 senza mai indossare la mascherina. Ma non può aprire troppo perché teme l'esplosione dei contagi con conseguente fabbisogno di milioni di posti letto negli ospedali. E non li ha».
2 - E LA TV «TAGLIA» LA FOLLA IN QATAR NEGLI STADI PIENI G.S. per il “Corriere della Sera”
Sono amareggiati anche i tifosi cinesi di calcio. Per le immagini che arrivano dal Qatar: stadi pieni, spettatori senza mascherine, nessun obbligo di mostrare il codice verde sugli smartphone per entrare. Un post su WeChat ha riassunto la frustrazione dei cinesi (fan del football e non): «Viviamo sullo stesso pianeta del Qatar? Il Covid da loro non è mai arrivato?».
E poi critiche alle autorità sanitarie di Pechino che anche quest' anno hanno costretto alla clandestinità il campionato di calcio mandarino facendo svolgere le partite a porte chiuse. Il post sul web ha fatto il pieno di contatti: 100 mila, che è il massimo conteggiato da WeChat. Poi è stata cancellata dalla censura e l'account del tifoso amareggiato è stato sospeso.
I social segnalano che ieri la tv statale ha risolto il problema a modo suo: quando le telecamere della regia internazionale inquadravano i tifosi sugli spalti in Qatar, pigiati ed esultanti per un gol, a Pechino venivano mandate in onda immagini diverse, le panchine, i calciatori in attesa della ripresa del gioco o inquadrature in campo largo.