Corriere della Sera, 28 novembre 2022
Breve storia del flusso migratorio
Gli sbarchi sono ripresi, e la chiamiamo ancora emergenza immigrazione. Ma come siamo arrivati fin qui? Vediamo come sono andate davvero le cose negli ultimi dieci anni tra sottovalutazioni, ipocrisie, errori e propaganda.
Il Regolamento di Dublino
Il Regolamento di Dublino sancisce un principio: «Se il richiedente asilo ha varcato illegalmente la frontiera di uno Stato membro, è quello Stato membro che deve farsene carico». Viene ratificato nel 2003 e l’Italia (governo Berlusconi II), che avrebbe potuto esercitare il diritto di veto e bloccarlo, lo firma. E così il nostro Paese accetta (forse inconsapevolmente) tutti gli oneri degli anni a venire, poiché anche la successiva riverniciatura del 2013 non porterà cambiamenti risolutivi.
Le porte girevoli verso l’Europa
La pressione migranti inizia a farsi sentire sulle coste italiane nel 2011, con i barconi provenienti in gran parte dalla Libia, travolta dall’instabilità del dopo Gheddafi, e da dove a migliaia tentano la traversata verso l’Europa via Italia. Insieme ai numeri salgono anche i morti in mare. Il 3 ottobre 2013 c’è il tragico naufragio all’isola dei Conigli: 366 annegati. Sotto la spinta dell’indignazione mondiale, il 18 ottobre 2013 il governo di Enrico Letta dà il via all’operazione Mare Nostrum, costo 9,5 milioni al mese e tutti a carico nostro. Due gli obiettivi: pattugliare con le navi della Marina militare fino a ridosso delle coste libiche, soccorrere e contrastare i trafficanti. In un anno 366 scafisti arrestati e 166.682 sbarchi. Ma i centri di accoglienza si svuotano in fretta: la maggior parte dei migranti se ne va verso il Nord Europa.
Il fotosegnalamento
Nel 2014 la storia cambia: l’Europa accusa l’Italia di lasciar transitare verso i Paesi europei i migranti non identificati. A quel punto diventa obbligatoria la comunicazione dei rilevamenti entro 72 ore al sistema centrale Eurodac, il database europeo delle impronte digitali fotosegnalamento per coloro che varcano illegalmente una frontiera europea. Da allora le porte girevoli si complicano. Mare Nostrum finisce e, nel maggio 2015, parte l’operazione Sophia, che fa le stesse cose di Mare Nostrum, ma con forze militari e di polizia europee sotto il comando italiano. In due anni (2015-2016) gli sbarchi sono 335.278 e, a fine 2016, la situazione va fuori controllo. Rivolta dei sindaci, anche di centrosinistra: «Non sappiamo più dove mettere i migranti». A dicembre dello stesso anno, il governo Gentiloni nomina Marco Minniti ministro dell’Interno. Lui la Libia la conosce bene. E in Libia va.
I 15 mesi di Minniti al Viminale
Il 2 febbraio 2017 viene firmato il Memorandum Italia-Libia: una convenzione del governo italiano con la guardia costiera libica per fermare le partenze via mare. A luglio, sempre del 2017, vengono stipulati accordi con i sindaci del Fezzan per bloccare la rotta migratoria che entra in Libia da Algeria, Niger, Chad, offrendo in cambio un sostegno economico allo sviluppo delle comunità locali. Il progetto è finanziato dalla Ue, come pure il rimpatrio volontario (gestito dall’agenzia Onu Iom) dai centri di detenzione libici verso i Paesi d’origine (esclusi quelli in guerra) con un po’ di soldi in tasca per avviare un’attività. Dal 2017 a oggi i rimpatri sono stati circa 48.117. Segue l’intesa con l’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr) per evacuazioni a carico dello Stato italiano. Da fine 2017 al 2019 dai centri di detenzione (quelli accessibili) sono trasferiti a Roma con voli umanitari in 913, fra aventi diritto alla protezione e fragili. I trasferimenti riprendono nel 2021, con il coinvolgimento del ministero dell’Interno, la Comunità di Sant’Egidio e Chiese evangeliche. In un anno salvate 500 persone dall’orrore delle prigioni. Sul fronte sbarchi tra maggio 2017 e maggio 2018 calano a 72.571 e continuano a scendere fino ad agosto 2019, a quota 28.505. Intanto il governo è cambiato e al posto di Minniti arriva Matteo Salvini.
Le ipocrisie istituzionali
La convenzione con la guardia costiera libica è stata universalmente condannata: impedisce le partenze ma porta i migranti in carcere, dove sono costretti ai lavori forzati, seviziati, le donne stuprate. Quella convenzione è scaduta nel 2020, ma il governo italiano (Pd, M5S), dopo averla pesantemente criticata, la rinnova. Così come fa di nuovo il 3 novembre il governo Meloni. La Libia è uno dei pochi Paesi al mondo che non ha mai firmato la convenzione di Ginevra del 1951 che impone il rispetto dei diritti umani. Nel dopo Gheddafi il solo governo legittimo riconosciuto dalle nazioni Unite è quello di Al-Sarraj. Al premier libico, nel 2015, l’Onu potrebbe chiedere di firmare quella convenzione, ma non lo fa, non lo chiede la Ue, e nessun singolo Stato membro. Tant’è che l’Unhcr apre un ufficio a Tripoli solo nel 2017, quando Minniti ottiene da Al-Sarraj le garanzie di sicurezza per il loro personale che deve entrare nei centri di detenzione e selezionare i più fragili per evacuarli attraverso il corridoio umanitario.
Gli accordi per la relocation
Intanto in Ue, a luglio e settembre 2015, con due decisioni del Consiglio viene previsto un sistema di relocation obbligatoria della durata di due anni a favore dell’Italia per 39.600 aventi diritto all’asilo. Tra il 26 settembre 2015 e il 26 settembre 2017 gli eleggibili sono 36.345. Alla fine, ne saranno presi 12.740 (la Germania per esempio ne accoglie 5.453, la Francia 641). Contro i ricollocamenti dall’Italia si schierano le cancellerie di Budapest, Varsavia e Praga (Paesi Visegrad). Scaduta la convenzione, alla prima seduta del Consiglio, Conte e Salvini non insistono e si va verso la redistribuzione facoltativa, che alla fine si concretizza nell’accordo di Lussemburgo nel giugno 2022 (ministro dell’Interno Luciana Lamorgese). L’accordo prevede il ricollocamento annuo di circa 10 mila aventi diritto all’asilo. A metà novembre 2022 ne sono stati ricollocati solo 117.
L’influenza della Russia
Nel 2018 Salvini ritira la missione Sophia dalle acque libiche per occuparsi solo dei confini nazionali e, da lì in avanti, l’operazione va verso lo smantellamento (marzo 2020). Intanto in Libia esplode il caos, l’influenza politica italiana sparisce, e arrivano quella turca in Tripolitania e quella russa in Cirenaica. Dal 2021 sono riprese le partenze e quest’anno, su 94.341 sbarchi (al 24 novembre, oltre la metà dei migranti arriva proprio dalla Libia, di cui oltre 30 mila dalla Tripolitania e, per la prima volta, oltre 17 mila dalla Cirenaica. Da questa regione, nello stesso periodo dell’anno scorso, si sono contate solo 2.276 partenze. Interessante anche capire da dove provengono i migranti che partono dalla Libia: soprattutto da Egitto (17.678), Bangladesh (13.794), Siria (5.863), seguono Eritrea, Pakistan, ecc. Se includiamo anche gli arrivi da Turchia e Tunisia, e altri Paesi, sulle coste italiane negli ultimi 12 mesi si sono superati i 100 mila sbarchi. Il sistema di accoglienza non ne regge più di 70.000.
Siamo tornati al punto di partenza.
Cosa chiedere all’Europa
Inutile insistere su una ripartizione dei migranti contando sulla solidarietà europea, che non ci sarà. In base agli ultimi dati disponibili, la Spagna deve fare i conti con oltre 100 mila irregolari, quasi 500 mila la Francia, 1,2 milioni la Germania, mentre Ungheria e Polonia stanno gestendo qualche milione di profughi ucraini. Anche le continue discussioni su dove devono sbarcare i migranti che arrivano con le Ong servono solo a raggirare il tema e allungare la lista delle ipocrisie: nel 2022 oscillano intorno al 10% del totale. Quello che possiamo e dobbiamo pretendere dall’Europa è, invece, un sostegno economico per fare due cose di cui abbiamo urgente bisogno: 1) la costruzione di un sistema civile di accoglienza e integrazione; 2) accordi con i Paesi sull’orlo del baratro (vedi Egitto e Tunisia) per avviare flussi regolari. E farla così finita con i trafficanti di esseri umani, i morti in mare, e migliaia di irregolari dati in pasto alla criminalità o, nella migliore delle ipotesi, al lavoro nero.