Corriere della Sera, 28 novembre 2022
Il Cav e le ultime ore del governo Draghi
Pubblichiamo un estratto dal libro «Riscatti e ricatti» del giornalista Roberto Napoletano: sono le ultime ore del governo Draghi, il 20 luglio scorso, prima del voto in Senato che porterà alle dimissioni dell’ex governatore della Bce, e al pranzo a Villa Grande tra Silvio Berlusconi e i suoi c’è un’assenza che pesa. È quella di Gianni Letta, storico consigliere del leader di Forza Italia, contrarissimo alla crisi. Il destino dell’ultimo governo della XVIII legislatura ormai è segnato.
È la foto dei partecipanti nel giorno del game over a Draghi durante la pausa pranzo alla riunione a Villa Grande, la nuova abitazione romana di Berlusconi. In quella «casa della vita» che Franco Zeffirelli aveva ricevuto in concessione a vita dal Cavaliere e di cui ricordo l’orgoglio stampato negli occhi del Maestro in un pranzo della domenica ai tempi in cui dirigevo Il Messaggero. In quella foto dove l’ex presidente del Parlamento europeo e vicepresidente di Forza Italia, Antonio Tajani, è sempre alla destra del Cavaliere e della sua compagna, Marta Fascina, dove non manca nessuno del centrodestra di governo, da Salvini alla Ronzulli, da Cesa a Lupi e tanti altri, c’è un’assenza vistosa che stranamente non viene segnalata dai cronisti della politica italiana così ghiotti di ogni fantasioso retroscena, ma evidentemente incapaci di guardare e raccontare la scena neppure quando parla da sola. L’assenza davvero vistosa è quella di Gianni Letta, l’ombra di Berlusconi ovunque, suo storico sottosegretario a Palazzo Chigi in tutti i suoi governi, l’amico fidato e l’uomo che non è mai mancato nelle decisioni politiche e personali che contano del Cavaliere. Una fonte autorevole ben addentro alle vicende del centrodestra mi ha chiamato mentre la tv continuava a riprendere Villa Grande e la folla di partecipanti riunita attorno a Berlusconi. «Hai capito che cade il governo, vero? Hai visto che Letta non c’è, non è stato convocato, e questo vuol dire che la decisione di Berlusconi è stata presa».
Vogliono sfruttare l’errore di Conte, è il succo del ragionamento. Ho sentito Gianni Letta e mi ha chiarito subito il giallo. Anzi, mi ha detto che non c’è nessun giallo: «Ci eravamo già visti tante volte, l’ultima la sera prima. Di discussioni ne avevamo fatte tante e mi era parso chiaro che non tutti gradivano le mie osservazioni, le ragioni e i dubbi che prospettavo, e allora ho detto a Silvio: la mia posizione la conosci. Sai che sono contrario, contrarissimo alla crisi, e sai anche perché. Riflettici, riflettici seriamente. Pensaci ancora questa notte, e poi, se non ritieni che le mie valutazioni siano convincenti, e neppure i dubbi e i pericoli che ti ho prospettato, allora è inutile che venga».
Non ci sono stati ripensamenti, perché il dado era tratto. E se penso al senso di responsabilità che Berlusconi manifestò con il passo indietro del novembre del 2011, quando l’Italia era a un millimetro da diventare la nuova Argentina e mi presi la responsabilità di aprire Il Sole 24 Ore, che allora dirigevo, con un titolo a caratteri cubitali «FATE PRESTO», devo dire che questa volta il Cavaliere ha fatto prevalere altre ragioni di opportunità, anche se il contesto è molto cambiato da allora e di sicuro pesano anche ruggini nei rapporti personali con Draghi evidentemente mai superate. Il prezzo che pagheranno l’Italia e gli italiani dei calcoli, che potrebbero rivelarsi sbagliati, di Conte, Salvini e Berlusconi è alto e lo si capirà bene non subito. L’assurdo è che tutto ciò avviene quando siamo all’apice della ripresa economica, quando siamo in presenza di un picco massimo di crescita e di credibilità, per cui il mondo comincia a pensare che stiamo diventando un Paese serio. L’equa ripartizione delle lodi e degli schiaffi di un discorso analitico e rigoroso da statista di Draghi, che è stato il discorso di un politico che non cerca le mediazioni ma propone appunto un programma, non ha ricompattato la maggioranza. Perché l’errore di Conte, che a lui ha comunque consentito di prendersi finalmente i Cinque Stelle, ha invece fatto perdere il contatto con la realtà all’intero centrodestra di governo, ricongiungendosi con quello da sempre all’opposizione di Fratelli d’Italia della Meloni. Il drappo rosso dell’urna è stato per il centrodestra di governo, più che per la destra di opposizione, quello che è per il toro che in questi casi monta e carica.