la Repubblica, 28 novembre 2022
Chiude la Wiener Zeitung, in edicola dal 1703
La sua storia è scritta a lettere d’oro perfino nell’Enciclopedia Britannica: battezzata nel lontano 8 agosto 1703, la Wiener Zeitung è uno tra i più longevi quotidiani al mondo. Ancora per poco, tuttavia: a fine anno anche questo autentico pezzo di cultura mitteleuropea se ne va in pensione. Lo Stato austriaco, azionista unico del quotidiano viennese, ha deciso di trasferire nel web il foglio nato durante il regno di Leopoldo I d’Asburgo, il nonno di Maria Teresa, col nome diWiennerisches Diarium (Diario viennese) e il pomposo sottotitolo deliziosamente barocco “Contenente ogni cosa notevole, di giorno in giorno, sia in questa residenza imperiale di Vienna che in tutti i luoghi del mondo”.
Della Wiener Zeitung resterà quindi dal 2023 un notiziario online, e una edizione cartacea mensile. Forse nell’era del digitale non è uno scandalo. Eppure la reazione in Austria è stata forte, con tanto di sollevazione del consiglio comunale di Vienna, petizioni di protesta e così via. Perché non è solo un antico e blasonato giornale che se ne va: tutti irintocchi fatali della storia austriaca (anzi europea) hanno suonato all’unisono con laWiener Zeitung. In epoca rococò subì i capricci dei Kaiser, che le imponevano tasse inverosimili. Durante la restaurazione il principe Metternich (che guarda caso possedeva un giornale concorrente), spediva i suoi questurini a intimidire il direttore. Dopo l’ Anschluss i nazisti chiusero il giornale (a malincuore, perché guadagnava bene): un ex-stato non poteva certo possedere giornali statali. Poi arrivarono le bombe del 1945, che distrussero redazione e rotative. Le pubblicazioni ripresero con otto pagine, nel dopoguerra di miseria, macerie e stipendi da fame così ben evocato dai romanzi di Heinrich Böll.
Tra le firme ci sono stati pionieri dell’estetica musicale come Eduard Hanslick, drammaturghi engagé come August von Kotzebue, guru dell’orientalistica come Joseph von Hammer-Purgstall, cavalli di razza della musica novecentesca come Ernst Krenek, poeti lirici di primo livello come Theodor Kramer. Una rete di collaboratori e contatti che si allargava anche per via familiare: Friedrich Uhl, leggendario direttore del giornale nel periodo d’oro 1872-1900, diede la figlia in sposa ad August Strindberg. Chi scrive ha toccato con mano – negli archivi viennesi – il suo valore di documento storico: come registro di fatti, indirizzi, destini (ad esempio le liste quotidiane dei nati e dei morti, con tanto di diagnosi medica) è uno strumento inesauribile per storici, economisti, urbanisti, demografi.
Dopo ogni crisi, la Wiener Zeitung si è rialzata. Riuscendo anche a evitare di “ingessarsi” nel ruolo di media statale: durante il periodo dell’austrofascismo anni Trenta osò lodare marxisti come Brecht o Ernst Bloch. E ai nostri giorni non ha paura di scrivere chiare e tonde verità scomode, ad esempio che in Austria «senza contributi pubblici chiuderebbero immediatamente tutti i media». La sua ottima scuola giornalistica non a caso teneva bene: finora ogni giorno uscivano 24mila copie con una foliazione generosa. Il governo però ha tagliato le ali, abolendo l’obbligo di pubblicazione sulle sue pagine degli annunci a pagamento (fallimenti, costituzioni e scioglimenti di società etc.), che costituiva la sua forza economica e anche di diffusione: per decenni la classe media ha iniziato la giornata spulciando le pagine di bandi e annunci dellaWiener Zeitung per sapere se il nuovo partner di lavoro è affidabile, se quel tale cantiere aprirà, se quel finanziamento pubblico verrà concesso. Ora è vittima della crudele ristrutturazione di tutto il comparto mediatico pubblico. Anche microfoni e telecamere della ORF subiranno tagli pesanti. Se la ragion di Stato non conosce ragioni, la Storia tuttavia ha un cuore. Con le sue ragioni.