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 2022  novembre 28 Lunedì calendario

Un documentario su Troisi

Rivedere su grande schermo Massimo Troisi è un’emozione che credevamo dimenticata. Nel buio della sala il pubblico ride delle scene più belle di Scusate il ritardo: lui sotto la pioggia con Lello Arena, mentre chiacchiera sul letto con Giuliana De Sio che vuole mollarlo, quando porta il cibo a casa del professore ed è costretto a restare lì a guardarlo mangiare. Sulle immagini la voce di Paolo Sorrentino, che racconta il suo rapporto con quel cinema e quella «dimensione comica unita a un’esplorazione dei sentimenti» che anche lui ha voluto frequentare.
Tutto questo (e molto di più) è Laggiù qualcuno mi ama, il documentario sul grande artista napoletano girato nientemeno che da Mario Martone. Al Torino Film Festival il regista ne ha presentati cinque minuti, in anteprima assoluta. Prodotto da Indiana con Vision Distribution e Medusa, uscirà in sala il 19 febbraio, in coincidenza con i 70 anni del comico.
«Volevo riportare il Troisi regista al cinema, dove merita di stare», ha spiegato l’autore di Nostalgia e Il giovane favoloso. «Non ho adottato l’approccio standard del documentario di testimonianze e non ho voluto interpellare nessuno che l’abbia conosciuto. A parte Anna Pavignano, che l’ha scritto insieme a me e che ha racconti molto dolci e intimi del tempo trascorso con Massimo. Invece ho cercato persone che hanno qualcosa da dire sul suo cinema e che a vario titolo ne sono state ispirate. Diciamo che come modello di riferimento avevo lo Scorsese di Directed by John Ford. Questo documentario avrei potuto titolarlo Massimo and Me».
Martone ha avuto occasione di frequentare Troisi alla fine della sua vita. Un rapporto nato quasi per caso, nutrito di lì in avanti da una frequentazione reciproca. «Lo conobbi nel 1992, quando già aveva girato quel bellissimo film che era Pensavo fosse amore... invece era un calesse. Stava lavorando su Il postino e nel cast c’era anche la mia ragazza di allora, Anna Bonaiuto, nel ruolo della moglie di Neruda. Un giorno lei doveva incontrarsi con Massimo e io accettai di accompagnarla a Montpellier. Lì lo vidi per la prima volta. Da quel momento abbiamo continuato a sentirci, due o tre volte sono anche stato a casa sua. Lui parlava, parlava, era sempre molto aperto. Si chiudeva solo per le sue vicende personali, come le relazioni sentimentali, con un pudore che rasentava il disagio. Non diceva nulla dei suoi sentimenti per Anna Pavignano, anche se vedendo il nome di lei che ricorreva in tutte le sceneggiature di lui avevo immaginato che la loro affinità non fosse soltanto artistica».
Martone ha rievocato l’ultima avventura cinematografica di Troisi, che lui ha vissuto dall’interno. «Ci accennava spesso a questo nuovo film che voleva fare insieme a Michael Radford e da come ne parlava sentivi il calore e l’intensità con cui lo desiderava. Sapevamo che era malato e che avrebbe assolutamente dovuto sottoporsi a un trapianto di cuore, ma lui ci diceva che a Il postino teneva talmente tanto che lo voleva fare con il cuore suo, non con quello di un altro. Purtroppo non ha fatto in tempo: ha tenuto duro fino alla fine delle riprese ed è morto il giorno dopo l’ultimo ciak. Non bisogna però pensarlo rassegnato, condannato, anzi, aveva mille progetti per il futuro. Anche l’atmosfera intorno a lui è rimasta divertente come sempre. Sul set non riusciva più a camminare, se ne stava disteso fino al momento di girare le scene. Noi ce ne stavamo intorno al suo letto e lui raccontava e scherzava come sempre».
La grandezza del Troisi attore, maschera immortale della napoletanità, a volte dà la sensazione di offuscare la bravura del Troisi regista. «Mi rendevo conto che di questo ci pativa un po’. In effetti è sempre stato considerato un attore comico messo dietro la macchina da presa per ragioni di servizio. Invece non è mai stato così. Lo considero un autore completo, uno dei più grandi, e il mio documentario ha l’intento di ricordarlo una volta di più». —