La Stampa, 28 novembre 2022
Essere lesbiche in India
Si sono conosciute al liceo in Arabia Saudita. Figlie di genitori musulmani dello Stato indiano Kerala. Si sono piaciute. Si sono innamorate. Rientrate in India per finire il diploma, sono rimaste in contatto. Qualche video-chiamata, tante chat. L’amore è rimasto. È cresciuto. Non ce la facevano a stare lontane. Adhila Nasarin oggi ha 22 anni. Fatima Noora ne ha compiuti 23. In questi anni hanno scoperto sulla propria pelle che esser ventenni e lesbiche nell’India di oggi non è affatto indolore.
Le famiglie hanno tentato di tutto. «Ti acconci i capelli come un maschio, ma non potrai mai esserlo, così mi urlavano», racconta Noora, tempie scolpite per creare un effetto di lampi, «ma io ce li ho così perché mi piace. Punto e basta».
Fossero solo i capelli il problema. L’amore proibito dalle famiglie è stata una lotta. Un dramma. Nasarin è stata tenuta in ostaggio dai suoi, pur essendo maggiorenne. Noora è stata costretta a vestirsi “da femmina” affrontando la violenta “terapia di conversione” basata sull’ipotesi affatto scientifica che l’omosessualità sia una malattia da curare, come se si potesse convincere una persona a scegliere il sesso verso il quale si prova attrazione: una violenza fisica e psicologica davvero crudele. Ma niente ha indebolito il loro amore.
«La polizia non ci aiutava. Dava ragione alle famiglie. Cercava di farci conciliare con i genitori. Finalmente, a un funzionario è scappato che avremmo potuto far causa per habeas corpus». Il cavillo legale consente la denuncia per sequestro di persona. La Corte Suprema del Kerala ha dato ragione alla coppia: una persona maggiorenne non può essere costretta a vivere con i genitori. Con la denuncia per scomparsa di persona presentata da Noora, la polizia si è presentata dai genitori di Nasarin che, appena uscita, è scappate dal Kerala con la compagna. Finalmente libere!
«Il collettivo Vanaja per i diritti Lgbtqa+ ci ha aiutate», racconta Nasarin. «Ci hanno detto di finire gli studi e trovare un lavoro. L’indipendenza economica è la chiave di tutto. E ci siamo riuscite». Sono andate a vivere a Chennai, nel Tamil Nadu. Ma la famiglia di Nasarin le ha scovate, cercando di sequestrare la figlia. Allora, sono scappate in un rifugio Lgbtqa+. Ce l’hanno fatta di nuovo. Un amore duro da sconfiggere. E hanno deciso di mostrare il proprio volto sui social e nelle interviste. Non è più ora di nascondersi. Così ora sono l’immagine dei diritti lesbici in India. Si fanno fotografare come se stessero sposandosi. Non è realtà. È la raffigurazione di un sogno, di un desiderio, la recita in costume di ciò che vorrebbero fare, ma che la legge in India ancora non permette, perché anche il solo poter ammettere di avere rapporti con persone dello stesso sesso è un diritto acquisito da poco, in India.
La filosofia indiana è una delle più aperte al mondo alla raffigurazione dei rapporti tra persone dello stesso sesso e all’identità transgender. Ma gli invasori britannici imposero un vittoriano senso del pudore nel 1961, applicando pene severissime contro i cosiddetti “atti contro natura”. La legge 377, retaggio dell’era coloniale, è stata finalmente abolita nel 2018. Ma certi atteggiamenti retrivi faticano a disciogliersi, inculcati come sono nella mentalità antiomosessuale di tanta parte della società post-coloniale.
Basterebbe leggere una versione bengalese del “Ramayana” per scoprire che vi si narra anche della maternità di una coppia lesbica. Quando morì senza figli il famoso re della dinastia Sun, il maragià Dilipa, il dio Shiva apparve alle due regine vedove e ordinò: «Fate l’amore e con la mia benedizione darete alla luce un erede bellissimo». Le due regine obbedirono e una di loro partorì Bhagiratha, «colui che nacque da due vulve». Fu proprio il puro Bhagiratha a portare il fiume Gange sulla Terra. Esiste anche il dio Ardhanarishvara, metà Shiva, maschio, metà Parvati, femmina. O divinità maschili che si trasformano in donne per accoppiarsi con divinità o mortali maschi.
Le realtà Lgbtqa+ sono da sempre integrate nella psiche e nella vita in India. Ma le regole del colonialismo britannico hanno infiltrato le menti, sposandosi con la tendenza eteronormativa e patriarcale delle attuali versioni di induismo, Islam e cristianesimo, focolai di sentimenti anti-omosessualità i cui anziani preti, mullah e sacerdoti resistono con veemenza alla richiesta di consentire alle coppie Lgbtqa+ di sposarsi e di avere pari diritti degli omosessuali.
Nasarin e Noora sono appena ventenni. Il tempo è dalla loro parte. Anche se la strada è lunga, qualcosa sembra stia cambiando anche in India. «Uno su Instagram mi ha scritto che la mia è solo una fase – dice Noora -, e che non ha mai visto una lesbica che ha più di 40 anni. Gli ho risposto: aspetta e vedrai». —