Avvenire, 27 novembre 2022
Smontare i bulli
Confidandosi con padre e madre, uno studente di Treviso, scuola media, ha detto: «Piuttosto che entrare in classe, preferirei morire». Spavento dei genitori: «E perché mai?». Risposta: «Perché a scuola ci son dei compagni che mi sfottono e mi incitano a uccidermi, Bùttati nel Piave».
Il ragazzo bullizzato ha soltanto undici anni, i bullizzanti oscillano dai dodici ai quattordici. Assassini e assassinati a quest’età? I genitori dell’undicenne hanno fatto denuncia ai carabinieri, son partite le indagini, ne parlano i giornali, ed eccoci qui. La cosa va avanti da un anno, per un anno il ragazzino ha sopportato, ma adesso non ce la fa più.
Quel che mi sorprende, e mi spaventa, nella stesura in cui la storia appare sui giornali, son le parole con cui il ragazzo rivela di esser pronto a morire. Dice: «Meglio morto che bullizzato». Che vuol dire “bullizzato”? Cosa gli fanno? Lo sfottono perché ha una bicicletta vecchia, e qui c’è l’universale mito della bella figura, l’orologio di marca, le scarpe costose, i vestiti griffati: chi non è giovane, non può capire lo sfoggio dell’eleganza, la gioia dell’esibizione, che in apparenza è esibizione di quel che si ha, ma in realtà è esibizione di quel che si è. A questo ragazzo dicono: «Hai una bicicletta arrugginita, rotta e brutta», ma così dicendo gli dicono: «Tu sei brutto». Lo disprezzano sulla bicicletta ma intanto gli dicono di uccidersi. La prepotenza, a questa età, è potenza. Più un bullo è prepotente, più è potente.
E qual è il massimo della potenza? Il dominio sulla vita altrui, quindi il potere di ordinare il suicidio. Per indurre un ragazzino tuo coetaneo al suicidio devi dargli l’ordine e indurlo a obbedire. Devi bloccargli il cervello. Perciò i bullizzanti sparano petardi intorno alle gambe del bullizzato, lo bombardano, e il bombardato si chiude in casa e non va più fuori. Come i nostri genitori in tempo di guerra: giù nei rifugi, sepolti vivi. Diamo poca importanza a questi fenomeni dei bulli, li consideriamo ininfluenti e provvisori. Invece avvelenano la vita dei bullizzati: le parole che ho letto, usate dai bullizzati, «meglio morti che bullizzati», sono tremende e inammissibili. Se c’è una scuola dove studenti pronunciano parole del genere, in quella scuola i professori non bastano, devono intervenire i genitori. La convocazione dei loro genitori smonta i bulli, e così li fa smettere