Il Messaggero, 27 novembre 2022
Le sfide di Carlo III
Come un’ombra che proietta sullo schermo della memoria i segreti percepibili, il chiaroscuro di emozioni, passioni, disillusioni. Così Luis Sepúlveda mi parlava della sua poesia che non solo marginalmente si accompagna ai suoi fortunati exploit narrativi. «Uno dei più grandi piaceri è piantare non uno ma molti alberi, sono una parte di te. Sai che non sopravviverai loro, eppure piantare l’albero della poesia è un piacere, è bellissimo sentire il senso di appartenenza al luogo in cui vivi, fondi una casa, sai che ogni pietra ha qualcosa di te».
Tutto Sepúlveda, il Sepúlveda poetico, è nello splendido volume Istruzioni per il viaggiatore, i versi scritti dal 1967 al 2016. La natura e la rivoluzione, l’impegno e l’avventura. Ma il problema è il dosaggio di vita e opera mescolate in modo inestricabile. Non come autobiografia, ma come scommessa su una scrittura spogliata dai manierismi, molto chiara, quasi elementare nella stringatezza. Come preoccupazione per i problemi sociali e politici, difesa di un eroismo civico contro il potere costituito. Una scrittura anche impregnata di una passione di vita che diventa una voce davvero inconfondibile. Sepúlveda racconta la sua generazione rispecchiandone le passioni, le tensioni, gli entusiasmi. Con tutti i suoi ideali e le grandi battaglie, ma anche con il velleitarismo, ogni inquietudine sentimentale. Una specie di amarcord tra sorriso e malinconia. «La poesia di Lucho scrive Alejandro Céspedes nel saggio che accompagna il libro – è profondamente comunicativa, aspira a stabilire coincidenze emotive con i suoi simili». Poi man mano che l’età avanza, diventa più interna e il dolore più individuale che collettivo, un riparo contro il peso di una vita estrema: la rivoluzione, la sconfitta, la persecuzione, l’imminenza di una morte annunziata e prevista. I vari esili verso una terra che finalmente possa concedergli serenità.