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 2022  novembre 27 Domenica calendario

Intervista a Monica Guerritore


Respirare attraverso il respiro di un’altra è per Monica Guerritore un dovere ineludibile se quest’altra porta coraggio e ferite di Anna Magnani. Difficile immaginare un carattere, un volto, uno spirito più affine. Persino alcuni tratti somatici si sovrappongono. Un’impresa quella di restituire in un film l’anima profonda di Anna Magnani che richiede coraggio, ma che nasce dalla necessità, a 50 anni dalla morte, «di rigenerare un lascito in quanto eredi fiduciari di tanta personalità. Lo dobbiamo al femminile, agli italiani». Monica Guerritore, produttrice con la sua LuminaMGR, autrice, regista, interprete di un lungometraggio che verrà realizzato anche grazie al supporto economico del progetto Mecenati, il primo token digitale NTT lanciato da un’attrice in Italia, e tra i primi al mondo. Le riprese partiranno in aprile. Il film si focalizza su quella forza della natura, capace di determinare i momenti drammatici che l’hanno portata, come Édith Piaf, prima alla solitudine, poi alla disperazione, persino all’estraneitudine dal suo stesso mondo e alla morte. Era il 21 marzo del 1956, Anna Magnani vinceva l’Oscar come migliore attrice, per giunta straniera, per La rosa tatuata. E da lì cessava di esistere.
Guerritore, perché parte proprio da lì?
«Perché la descrive. Anna non aspetta la notizia attaccata al telefono: lei esce, va per strada e proprio a Piazza del Popolo a Roma, all’alba, saprà dell’Oscar. È la gente a gridarle la vittoria, a portarla in trionfo».
Una gioia effimera?
«Da quel momento le porte cominciano a chiudersi: ha vinto troppo, ha vinto tardi. Il suo volto non assomiglia più all’epoca che sta vivendo. Sta imponendosi la verosimiglianza che non le appartiene. Lei restituisce la realtà attraverso una finzione poetica, invece in quegli anni si afferma il cinema d’autore e gli autori prendono dalla strada facce che alla strada somigliano e che la strada raccontano. Il grande misunderstanding inizia con Roma città aperta, una borghese che disegna il personaggio di Teresa assieme ad Aldo Fabrizi, Rossellini, Amidei e Fellini. Ma siamo agli sgoccioli. Bellocchio, Lattuada, Pasolini, Monicelli che raccontano una realtà diversa da quella narrata da Rossellini».
Anna Magnani ne soffre?
«Suso Cecchi D’Amico la sprona: “Devi andare incontro al nuovo” le dice ma lei no: “È un linguaggio che non capisco”, le risponde. Tutto questo la indurisce, la scurisce, sprofonda nella grande solitudine, il dolore per la distanza dal figlio ammalato e curato altrove, non arrivano i personaggi giusti, una fase delicata che subisce attonita fino al ritorno a teatro che la salverà. Ricordiamoci la grande delusione per La Ciociara e per il personaggio di Cesira, scritto per lei da Moravia e che il produttore Carlo Ponti le sottrae per consegnarlo a Sophia Loren. Dopo, molto dopo, Magnani riconoscerà che Loren era stata perfetta».
Come era Anna Magnani?
«Una donna ingombrante. Lei diceva “La mia prepotenza serve a difendere la Magnani” e il suo mito riconosciuto nell’universo. “Saluto la fraternità degli uomini, il mondo delle Arti e Anna Magnani” disse Yuri Gagarin nel 1961 nel primo messaggio alla terra dalla Soyuz».
Poi il teatro che la riporta a vivere. Infine la malattia.
«Nel 1971 gira tre film e la notte del 26 settembre del 1973, una domenica, il giorno della sua morte, va in onda La sciantosa di Alfredo Giannetti con Massimo Ranieri. Una diva del cabaret che fa uno spettacolo per i mutilati di guerra e canta con un filo di voce e gli occhi pieni di lacrime “Oi vita, oi vita mia”. Era già malata e sulle forze costruì quella scena da brividi nel ricordo della sua esperienza di fine guerra».
Ha studiato Magnani sui libri e sui film?
«Non mi sono rifatta a niente. Mi viene naturale, sento quello che lei vorrebbe mostrare, il mio riferimento è lei che è già dentro di me, ma non ne farò una copia per non uccidere il personaggio. Quel carattere un po’ virile è anche il mio, il suo retrogusto borghese, i suoi ruoli che sono i miei, sempre a testa alta attraverso le immagini».
È la sua prima regia cinematografica?
«In tarda età la mia opera prima, ma ho fatto tante regie teatrali e non è così diverso, ci metto la trama sentimentale che è drammaturgia. Vorrei che le istituzioni appoggiassero il progetto e che lo stesso pubblico lo sostenesse. Cerco mecenati perché l’artista deve essere libero e indipendente».
Ha già gli interpreti?
«Saranno per lo più attori di teatro, ma ho chiesto a Colin Firth di impersonare Tennessee Williams». —