la Repubblica, 27 novembre 2022
In morte di Balestra
È diventato stilista per scherzo, Renato Balestra. Lui da ragazzo alla moda non ci pensava: era di Trieste, studiava pianoforte, frequentava la facoltà di ingegneria per fare contenti i suoi. C’è voluta una scommessa con gli amici, un bozzetto disegnato da lui per gioco e inviato a sua insaputa al Centro Italiano della Moda di Milano, per cambiare le sue sorti e trasformarlo in uno dei simboli della moda italiana.
Renato Balestra si è spento ieri sera, all’età di 98 anni, in una clinica romana: le sue condizioni, da qualche tempo più precarie, si sono aggravate improvvisamente in giornata. Con lui se ne va una figura unica del Made in Italy, un personaggio così anticipatore dei tempi da riuscire a conciliare le passerelle, i guardaroba delle teste coronate e la televisione (Piero Chiambretti, nel suo Chiambretti c’è,lo ha reso una star del piccolo schermo). Ma prima di tutto per lui viene la sua moda, sempre.
Trasferitosi a Milano per tentare quella strada tanto inaspettata, Balestra fa la gavetta nell’atelier di Jole Veneziani. Nel 1954 la forza attrattiva del glamour di Roma ha la meglio, e lo stilista decide di puntare sulla capitale, che all’epoca è il vero centro dello stile italiano. Lavora con il meglio del meglio, dalle Sorelle Fontana a Emilio Schubert, e la vicinanza con Cinecittà, luogo mitico allora, gli permette di incontrare anche le dive più grandi: veste Ava Gardner inLa contessa scalza e Il sole sorge ancora,Gina Lollobrigida inLa donna più bella del mondo, Sophia Loren inLa fortuna di essere donna, Candice Bergen in L’ultimo avventuriero.
Vivere così a contatto con il gotha del cinema lo aiuta non solo a farsi conoscere, ma anche a capire come gestire la sua, di maison: e così, quando nel 1958 debutta con una sua collezione, lo fa prima in America, attraversando gli Stati Uniti da Los Angeles a New York, e presentando lì le sue creazioni. Apre il suo atelier in via Gregoriana nel 1959, e nel 1961 sfila alla Galleria d’Arte Moderna.
Suo simbolo sin da quelle prime prove è il “blu Balestra”, una sfumatura ricca e accesa di blu così riconoscibile da diventare subito un suo segno di riconoscimento, come fosse un logo: anni dopo in un’intervista, racconta che nemmeno lui sa bene il perché del suo amore per quel colore. Sa solo che è il suo preferito, sin da bambino.
«È stato un uomo straordinario,coraggioso, capace di farsi da solo. Per noi è stato un esempio». Lo ricorda così la nipote Sofia Bertolli Balestra, terza generazione creativa, che con la madre Fabiana e la zia Federica da un anno e mezzo ha rilanciatoil brand, evolvendone l’estetica. «Di lui mi è sempre piaciuto come, negli anni Settanta, abbia iniziato a vestire un tipo di donna totalmente diverso, molto più moderna: creava abiti trasparenti decorati da ricami chesembravano pennellate, non s’era mai visto nulla del genere. Una sua cliente un giorno mi ha detto che i vestiti di mio nonno erano per “donne graffianti”. Una definizione che mi piace moltissimo». E come dimenticare tutte le teste coronate che ha vestito, attirate dalla sua capacità di dare corpo a un glamour fastoso, ma non ridondante: veste Farah Diba, la regina di Thailandia Sirikit e sua figlia, la principessa Choulaborn, realizza l’abito da sposa della principessa Noor di Giordania per le sue nozze con il principe Hamzah bin Hussein. Veste anche Imelda Marcos, che era capace di ordinare lo stesso modello in decine di colori, se le piaceva. Negli ultimi anni era arrivata anche la televisione. Renato Balestra era perfetto per lo schermo: il volto senza età, le maniere impeccabili, l’ironia e la valanga di aneddoti su star e regine che aveva incontrato lo hanno reso, anche in questo, memorabile. Di sicuro sarà difficile trovare qualcun altro come lui.