la Repubblica, 27 novembre 2022
Ancora proteste in Cina
Da Urumqi a Pechino, da Nanchino al Sichuan, le proteste continuano a scuotere la Cina e la sua politica zero-Covid. Le immagini più forti arrivano dalla capitale dello Xinjiang, sigillata dal 10 agosto. A centinaia la scorsa notte si sono riversati nelle strade della città, davanti agli edifici governativi, al grido di “Basta con il lockdown”.
La rabbia è esplosa dopo che giovedì era andato a fuoco un palazzo: dieci le vittime. Sui social in molti hanno denunciato i ritardi nei soccorsi proprio a causa del lockdown a cui era sottoposto l’edificio e le difficoltà per gli inquilini di uscire e mettersi in salvo. I vigili del fuoco inviati nel quartiere di Jixiangyuan hanno impiegato tre ore per spegnere l’incendio. Alcuni post – poi censurati – sostengono che i camion dei pompieri non erano in grado di avvicinarsi all’edificio per colpa delle barriere anti-Covid.
In piazza, venerdì sera, in molti si sono messi a cantare l’inno nazionale cinese, la Marcia dei volontari, le cui prime parole recitano: «Alzatevi, voi che non volete essere schiavi». Dopo le proteste le autorità locali hanno fatto una parziale marcia indietro promettendo di allentare «per gradi» il lockdown nei quartieri «a basso rischio».
Nelle ultime settimane in tutto il Paese sta crescendo il malessere contro la strategia della tolleranza zero contro il virus: per la leadership comunista un sogno diventato un incubo. Proteste sono scoppiate anche a Pechino – il cui centro in questi giorni è di fatto una città fantasma – nella zona di Tiantong Beiyuan. A Nanchino gli studenti dell’Università di Comunicazione si sono radunati tenendo in mano delle candele per commemorare proprio le vittime dell’incendio diUrumqi. Scene simili anche all’Accademia di Belle Arti di Xi’an, a quella di Tianjin, all’Istituto di Comunicazione del Sichuan e alla Beijing Film Academy dove gli studenti hanno legato ai corrimano delle scale mascherine macchiate di sangue.
«Ero io a saltare dall’edificio, ero io a salire sul bus che si è ribaltato, ero io a lasciare la Foxconn a piedi, ero io ad essere stato respinto. Ero io che non ho avuto un reddito per un mese ed ero io che sono morto nell’incendio. No, non ero io, ma la prossima volta potrei esserlo», uno dei post più condivisi nelle ultime ore su WeChat che riassume alla perfezione la frustrazione dei cinesi.
L’utopia di eliminare sul nascere qualsiasi focolaio di Covid che tre anni fa ha funzionato contribuendoa salvare molte vite si sta ora rivelando un boomerang per la Cina che, nonostante lievi modifiche nelle ultime settimane, continua ad attenersi a ciò che sa fare meglio (o, peggio): chiudere. Anche se l’economia rallenta, le proteste sempre più frequenti. I casi nel Paese continuano a salire (ieri 34.909), tornano le chiusure. E pure le tragedie. In uno dei centri per la quarantena centralizzata a Canton una ragazza di 32 anni si è impiccata. A raccontarne la storia è il giornale cinese Caixin.
Secondo i calcoli dell’istituto Nomura, 49 città hanno vari livelli dilockdown in atto: circa 412 milioni di persone sono sottoposte a queste misure. Allentare troppo in fretta, è la paura del Partito, può portare a milioni di casi e morti: solo il 40% degli over 80 ha fatto il richiamo, non c’è la necessaria immunità al virus, il sistema ospedaliero non sarebbe in grado reggere. In questi tre anni poco pero è stato fatto per correggere la rotta. La Cina sembra essersi auto- intrappolata nel suo sogno di eliminareil Covid. E al momento è incapace di trovare una via d’uscita daquesto incubo.