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 2022  novembre 27 Domenica calendario

I fornitori dovranno pagare 2 miliardi alla Sanità

Un conto salatissimo, oltre 2 miliardi di euro, da pagare dal 15 gennaio. È quello presentato dalle Regioni ai fornitori ospedalieri, le aziende che procurano guanti, camici, tappeti per sala operatoria, ma anche bisturi, stent, siringhe, materiale monouso, dopo aver partecipato a gare e appalti pubblici. Si chiama “Payback” ed è un meccanismo che parte da lontano, ma i nodi sono arrivati al pettine adesso: migliaia di richieste spedite dalle Regioni ai fornitori, centinaia di ricorsi già presentanti al Tar del Lazio.
Le Regioni non possono fare a meno di questi soldi per chiudere i bilanci della Sanità, funestati dai costi del Covid e del caro-bollette. Le aziende, soprattutto quelle piccole, rischiano di saltare, perché non possono corrispondere le cifre richieste. Ad aprire il “vaso di Pandora” è stato il decreto Aiuti Bis del Governo Draghi. Ma l’attuale esecutivo non ha cancellato la norma, come chiede ad esempio Confindustria.
Per capire quanto accaduto, bisogna tornare indietro, al 2011, quando viene fissato un tetto alla spesa pubblica in dispositivi medici: dal 2014, non si può superare il 4,4% del Fondo sanitario ordinario. Si tratta, in pratica, di razionalizzare gli acquisti e non comprare quintali di siringhe o garze inutili. Nel 2015, con la manovra finanziaria, viene stabilito che in caso di sforamento delle Regioni, una parte della spesa in eccesso venga rimborsata dalle imprese fornitrici (dal 40% del 2015 fino al 50% dal 2017). L’idea alla base è la stessa che si usa per i farmaci: le aziende sono correponsabili, devono contribuire a un approvvigionamento ragionevole. Ma dal 2015 la norma non è mai stata applicata e i decreti attuativi arrivano solo con il decreto Aiuti Bis dello scorso settembre, gli sforamenti quantificati in luglio. In periodo pre-elettorale, gli allarmi delle imprese del settore cadono nel vuoto e il nuovo esecutivo non ferma l’ormai inevitabile percorso del Payback.
Così cominciano ad arrivare dalle Regioni le richieste di rimborso alle aziende del settore, circa 7 mila a livello nazionale, con gli arretrati dal 2015 al 2018. «La Regione Toscana mi ha mandato una posta certificata con 75 mila euro da pagare spiega Cristina Cattini, ad di una piccola azienda con 14 dipendenti, Novamedisan – anche le Marche e il Friuli mi hanno comunicato che sono nella lista dei creditori. Alla fine mi aspetto una richiesta di 300 mila euro, ma quei soldi non li ho. Dovrò mettere l’azienda in liquidazione, ma ho 13 dipendenti, cosa faranno? Soprattutto, prima di partecipare a una gara ci penserò due volte». Le richieste di Payback stanno arrivando alla spicciolata, in particolare dalle Regioni che hanno sforato di più, che sono quelle dove le strutture pubbliche sono nettamente superiori alle cliniche private. La Toscana in primis, che ha sforato dal 2015 al 2020 1,2 miliardi di euro (elaborazioni Fifo su dati della Corte dei Conti) e poi a ruota Veneto, Piemonte, Puglia, Emilia-Romagna. Non hanno sforato o lo hanno fatto pochissimo Lombardia e Lazio, ad esempio. Così si va dalla richiesta di 5 milioni partita dal Piemonte per il colosso Medtronic Italia fino a una pec di 8 centesimi mandata dalla Regione Lombardia.
Oltre alla valanga di ricorsi, sono a rischio le forniture degli ospedali, almeno per come le conosciamo oggi. «Abbiamo notizia di più di 600 ricorsi, incardinati il 14 novembre spiega Massimo Riem, della Federazione italiana fornitori in sanità ma il punto è che si bloccano le forniture, perché la base d’asta è fissata prima di tutto ciò. Le Regioni possono iscrivere queste somme a bilancio, ma non le prenderanno mai». L’esperienza di Marco Micucci, di Proximed, azienda di Ancona, lo dimostra. «Io non sto ad aspettare di essere stritolato, chiudo tutto, pago i Tfr, metto i 4 dipendenti in Naspi – dice –. Da un mese non dormo la notte, adesso basta». Anche nel distretto biomedicale di Mirandola si fanno i conti. «Noi ci salviamo con il mercato estero, è partito un container per lo Yemen e meno male – dicono dalla Rimos, grande realtà del settore – ma il rischio lo vediamo bene: è il fallimento di tante aziende».