La Repubblica, 27 novembre 2022
Ischia, l’isola delle frane
«Non avevamo mai misurato una pioggia così». Paola Salvati dell’istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr guarda i numeri del pluviometro di Casamicciola. «Prende dati da vent’anni, ma mai aveva toccato i 50 millimetri in un’ora, come la scorsa notte tra le 4 e le 5. Né i 120 millimetri in sei ore: tanto è piovuto tra mezzanotte e le sei del mattino». Tra venerdì e sabato su Ischia si è abbattuto un nubifragio di prim’ordine, di quelli resi più frequenti dal cambiamento climatico.
L’acqua poi ha innescato un effetto domino sulla geologia di un’isola dove le frane sono di casa. «Il versante nord del Monte Epomeo è ripido, inciso da valli che corrono verso il mare» spiega Mauro Di Vito, che dirige l’Osservatorio vesuviano dell’Ingv, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. «Il terreno è piroclastico, fatto di ceneri e polveri vulcaniche sciolte. L’acqua ci mette poco a saturarlo, facendo venir giù quelle che chiamiamo alluvioni di detriti veloci. Sono in parte alluvioni perché l’acqua corre a valle copiosa, e in parte frane, perché trascina con sé terra, massi, detriti, e perfino auto. A Ischia accade di frequente».
Se un metro cubo di acqua pulita pesa una tonnellata, il “fiume di detriti veloci” arriva «a 3 o 4 tonnellate» stima Romeo Toccaceli, il geologo che è stato consulente del piano per la ricostruzione dopo il terremoto del 2017. Ricognizioni o riprese chiare dal cielo nessuno ne ha fatte ancora. «Ma dalle immagini che ho visto deduco che la colata ha seguito un percorso simile alla frana del 2009. È partita dal versante nord dell’Epomeo, a circa 6-700 metri di altitudine, (100-200 metri sotto alla cima). Ha percorso la rete di forre e canaloni che solcano il pendio ripido. Lungo il percorso i vari rami si sono ingrossati con massi e detriti, poi sono confluiti verso piazza Bagni».
È la stessa piazza in cui, durante la frana gemella del 2009, una ragazza di 15 anni che era in auto con la madre venne travolta e uccisa.
Ieri però la colata non si è fermata lì. «Ha proseguito riversandosi in mare» prosegue Di Vito. Lasciandouna chiazza marrone accanto al porto. «In tutto ha percorso un paio di chilometri. Non so calcolare il volume, ma posso dire che è stata una frana imponente. L’hanno sentita anche i sismometri» conclude il direttore dell’Osservatorio vesuviano. L’ultima frana con vittime a Casamicciola, oltre a quella del 2009, era avvenuta nel 1987: un morto. Nel 1910 nello stesso comune avevano perso la vita in 11. Nel 2006, questa volta nella parte meridionale dell’isola, c’erano stati 4 decessi. Perché, in un’isola in cui i lutti sono così frequenti, si continua a dormire tranquilli in case costruite negli alvei e negli impluvi? Venerdì notte, tra l’altro, la Protezione civile aveva diramato un’allerta arancione per il maltempo. «Dagli anni ’50 un po’ in tutta Italia si è costruito in modo dissennato, senza alcuna considerazione per il territorio» ricostruisce Alessandro Trigila, ricercatore dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), coordinatore del rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia. «Negli anni ’50 il 2% del suolo italiano era antropizzato. Oggi siamo a oltre il 7%. Ci sono volute le 160 vittime della frana- alluvione di Sarno, nel 1998, per arrivare a un piano di assetto idrogeologico e per vietare la costruzione in alcune zone pericolose. Nel frattempo, però, si era già edificato moltissimo».
In mezzo a questo corto circuito si trova Ischia. I nubifragi diventano più frequenti. La pericolosità idrogeologica è considerata massima dalla mappa dell’Ispra. Eppure le case restano lì, in sprezzo del pericolo. Che fare? «Nelle situazioni estreme, quando il rischio è troppo alto, bisogna delocalizzare, cioè costruire altrove» considera Trigila. «Altrimenti sono possibili interventi di mitigazione: muri di contenimento, reti o barriere. Vicino Cortina c’è un sistema di telecamere che monitora le colate di detriti e, in caso di frana, invia un allarme che attiva i semafori per chiudere la strada a valle. Abbiamo un progetto per estendere questo monitoraggio al resto del Paese, da finanziare con il Pnrr. Ma la nostra richiesta è ancora in corso di valutazione».