Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  novembre 27 Domenica calendario

Tutti i guai di Alessio D’Amato

Un giornale fallito in 4 anni, una condanna in primo grado dalla Corte dei Conti e 16 ospedali chiusi. La ventennale carriera politica di Alessio D’Amato è costellata di successi ma anche di inciampi. Lui che prima della ribalta Covid e della candidatura a presidente della Regione Lazio, fin qui sostenuta da Pd e Azione, aveva girato quasi tutto il centrosinistra romano: il Pds, i Ds, i Comunisti Italiani. Sempre con un grande pallino: la sanità.
Nel 2006, quando deflagra l’inchiesta della Procura di Roma sulle maxi-tangenti da 80 milioni di euro nella sanità laziale, che coinvolgeva il cerchio magico dell’ex governatore Francesco Storace (sempre estraneo all’inchiesta), D’Amato raccoglie gli atti, aggiunge informazioni “da dentro” e nel 2008 insieme a Dario Petti pubblica per Editori Riuniti un libro dal titolo “Lady Asl – La casta della sanità”. Quelli erano anche gli anni in cui la Fondazione Italia – Amazzonia Onlus di cui D’Amato era vice-presidente otteneva tra il 2005 e il 2008 dalla Regione Lazio 275 mila euro per due progetti legati alla difesa delle popolazioni indigene sudamericane. Il problema è che, secondo la Gdf, quei soldi sono stati spesi per le iniziative politiche dell’Associazione Rosso Verde, creata proprio da D’Amato. L’inchiesta della Procura di Roma viene prescritta nel 2015, ma il dispositivo del giudice genera un’indagine della Corte dei Conti, sfociata il 2 settembre scorso in una condanna in 1° grado per danno erariale per D’Amato e per altri due soci di Italia-Amazzonia, Barbara Concutelli ed Egidio Schiavetti (suo attuale capo segreteria). D’Amato ha annunciato ricorso in Appello.
Intanto crescono le velleità da giornalista di D’Amato, che nel 2010 con altri soci rileva i diritti sulla testata Paese Sera, fondando il Nuovo Paese Sera. D’Amato, appena eletto consigliere regionale nel Pd, farà il direttore editoriale. La redazione è di prim’ordine e tra scoop e inchieste compaiono anche le inserzioni istituzionali di Regione e Provincia. Ma il progetto non decolla e nel 2012 Paese Sera va in crisi, chiudendo nel 2014. Eppure gli investimenti c’erano stati. Quelli della cooperativa Annales, ad esempio, che condivideva la sede col giornale. In Annales ritroviamo Concutelli, Petti, e il futuro sindaco di Colleferro, Pierluigi Sanna. Dal marzo 2011 al marzo 2013 Annales incassa fondi dalla Regione per 100 mila e 783 euro e in almeno 4 occasioni, versa a Paese Sera assegni dal valore di 9.276,66 euro. Prima di chiudere i battenti, nel luglio 2013 Luca Parnasi prova a salvare il giornale. Le società del costruttore noto per l’inchiesta – scattata 5 anni più tardi – sullo stadio dell’As Roma, versano 100 mila euro in pochi mesi, ma il tentativo fallisce. Oggi, “Nuovo Paese Sera srl In Liquidazione”, vede Schiavetti tra i procuratori. Gli esposti in procura sulla vicenda sono sempre stati archiviati.
Nel 2013, quando Nicola Zingaretti viene eletto governatore, D’Amato diventa capo della cabina di regia sulla sanità. L’obiettivo è risollevare la sanità regionale da un debito di 1 miliardo di euro. Si completano così la chiusura di 16 ospedali pubblici, ma il target finanziario viene raggiunto. Secondo il Ministero della Salute, nel 2011 il Lazio aveva 72 strutture di ricovero pubbliche, scese a 56 nel 2017. A Roma città chiudono il Forlanini, il S. Maria della Pietà e il San Giacomo, mentre il San Filippo Neri, il Sant’Eugenio e il San Camillo vengono ridimensionati. E per 10 anni si bloccano le assunzioni, lasciando gli ospedali in mano alle cooperative.
Nel 2018 Zingaretti rivince le elezioni e D’Amato diventa assessore alla Sanità. Con la pandemia, nel 2020, il Lazio è tra le poche regioni in Italia a organizzare un piano di Covid Hospital tutto basato su ospedali pubblici. Spiccano però due eccezioni, su cui si concentra il fuoco di fila delle opposizioni. La prima è la clinica Columbus, adiacente al Policlinico Gemelli, sull’orlo del fallimento e poi risollevata dagli oltre 150 posti letto organizzati in tempi da record, che permettono alla struttura di beneficiare di rimborsi medi che superano i 120 euro al giorno a paziente. La seconda è l’Icc Casal Palocco, di proprietà del gruppo Gmv, con a capo l’imprenditore romagnolo Ettore Sansavini: la clinica non era accreditata al servizio sanitario regionale, ma D’Amato ordina la realizzazione di 98 posti letto, di cui 30 in terapia intensiva. Alle interrogazioni sui rimborsi totali assegnati alle due strutture con i fondi dell’emergenza, la Regione non ha mai risposto, ma D’Amato ha respinto le polemiche sventagliando i suoi successi: “Il tempo ci ha dato ragione, il Lazio ha rappresentato un modello per tutta l’Italia”.
Vero. L’emergenza Covid dà un’importante ribalta mediatica a D’Amato, che con lo Spallanzani lavora all’unisono su vari fronti: la sperimentazione dei tamponi salivari, i test rapidi, la gestione dei vaccini. Ogni scelta del Lazio anticipa di qualche giorno quelle dell’allora ministro Roberto Speranza. Solo su un punto il governo non segue Roma: la richiesta di sdoganare Sputnik V, il “vaccino di Putin”, in quel momento invocato anche da Angela Merkel. Siamo a inizio 2021. D’Amato organizza convegni con i professori russi dell’Istituto Gamaleya (in partnership con lo Spallanzani fino a inizio 2022), ma l’Ue blocca tutto. “Il mio intento era quello di reperire vaccini sul mercato quando se ne trovavano pochi”, commenterà più volte D’Amato. Che ribatte sempre: “Criticatemi come volete, ma non accusatemi di incoerenza”.