Corriere della Sera, 27 novembre 2022
Ischia, il giorno dopo la tragedia
Maschere di fango. Difficile, all’alba, distinguere tra vivi e morti nella tragedia che ha flagellato Ischia e Casamicciola. La pioggia record ha innescato la frana. E le case, sbriciolate, e le auto sono scivolate in mare.
Si muore così, in Italia. Quando piove. Quando c’è un temporale che non è nemmeno ancora tempesta, solo pioggia battente che inzuppa la collina argillosa, di terreno vulcanico, e la gonfia, e mentre è ancora buio, tra un tuono del cielo e un rombo di morte, ne sbriciola un pezzo intero e la fa scivolare su Casamicciola, luogo di tragedie recenti e antiche, già cerchiato di rosso, e di croci.
Una gigantesca colata di fango e detriti, roccia e tutto quello che la furia della natura stuprata dall’uomo, offesa – alberi tagliati per creare terrazze appese nel vuoto, ville abusive costruite su panorami di abbacinante bellezza – riesce a trascinare giù, dentro le camere da letto dove la gente dorme.
I sopravvissuti provano a contarsi nella luce di un’alba sporca. Si chiamano dalle finestre. «Assuntina, ci sei?». «Pasqualino dov’è?». Poi sentono un lamento prolungato, qualcosa di disumano, come un terrificante muggito provenire dal basso, due traverse sotto piazza Bagni. È un manichino di fanghiglia. Ma il manichino parla. «A-iu-ta-te-mi…». Gli dicono di resistere. E certo che resiste, quello sta lì da almeno due ore, aggrappato a una persiana, e alla vita. Il filmato del salvataggio diventa subito virale, fa il giro del web: il Paese capisce che, a poco più di due mesi dall’alluvione delle Marche, i cadaveri sommersi e trascinati per chilometri a Pianello di Ostra, Cantiano, Senigallia, c’è un’altra storia di ordinario disfacimento del nostro territorio, e ci saranno altre bare, e altri funerali, e ovviamente altre stucchevoli polemiche.
Gira voce che manchi all’appello un intero nucleo familiare: padre, madre e figlio di pochi mesi. Però poi li ritrovano, erano ad asciugarsi a casa di una famiglia amica. I soccorritori faticano a mettere sotto controllo la scena del disastro. Spariti vicoli, cortili, giardini in questo lembo settentrionale della dolce Ischia, dell’ospitale Ischia. L’isola del turismo per tutti: alberghi con terme a cinque stelle, pensioni per comitive di tedeschi felici, ma anche e soprattutto la destinazione della vacanza ideale per la classe media di Napoli, che qui tiene orgogliosamente casa da generazioni, perché Capri è per pochi, selezionati riccastri e Procida, pure deliziosa, è troppo piccola.
Così qui hanno costruito e costruiscono ovunque sia possibile. Il cemento abusivo è nascosto da stupende bouganville e, adesso, dalla melma. In una casa al primo piano di via Paradisiello, stanno cercando di estrarre dall’armadio una Honda Sh 125. Due cani giacciono al piano terra, davanti l’ingresso. Un televisore e un cassonetto dell’immondizia sono sul tetto della villetta di fronte.
Il vigile del fuoco viene su dal porticciolo, è inzaccherato fino all’addome, ha l’aria desolata: «Abbiamo trovato il cadavere di una donna. Ma finora è stato impossibile risalire alla sua identità».
Le agenzie – all’improvviso – battono l’annuncio di Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture: «I morti sono otto». Tutti cominciamo a chiederci dove siano. Un ufficiale dei carabinieri allarga le braccia: «Mi sembra complicato che qui nessuno si sia accorto di otto cadaveri. Temo, tra l’altro, che il numero delle vittime possa essere ben più alto». Timore confermato dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Costretto a smentire Salvini: «Al momento non ci sono decessi accertati».
La certezza è che qui tutto frana da secoli. E che da secoli ci si rassegna, dentro un efferato fatalismo, a pregare compaesani morti non di vecchiaia, ma soffocati, schiacciati, annegati. Nel 2006, una frana molto simile a quella della scorsa notte si portò via Luigi Buono, di 43 anni, e le sue tre figlie: Anna di 18, Maria di 16 e Giulia di 15. Tre anni dopo, morì travolta un’altra quindicenne, Anna De Felice. In processione al cimitero sempre con il rosario in mano e lo sguardo rivolto al monte Epomeo: come se fosse colpa sua. E invece le case vennero giù, che nemmeno un presepe di cartapesta, pure quando arrivò la botta di terremoto del 2017: perché poi qui la terra trema spesso e sta sui libri di storia il sisma del 1883, così feroce da far rimbalzare fino ai giorni nostri quel modo dire, non solo partenopeo, sinonimo di paura e distruzione, «È na’ Casamicciola».
Stavolta sono venti le abitazioni rase al suolo. Con prudenza, a pomeriggio inoltrato, il prefetto di Napoli, Claudio Palomba, aggiunge anche gli altri dati, da ritenersi ufficiali: i dispersi sono 11, accertato il decesso di una donna, gli sfollati sono circa 130, tredici i feriti, di cui uno grave.
Le luci delle fotoelettriche illuminano un mare che è ancora color marrone. Proprio così: dovete immaginarvi uno spaventoso mare marrone e schiumoso dentro cui galleggiano almeno dieci automobili e due pullman turistici. Il molo è inagibile. I mezzi dei soccorsi sono sbarcati a Ischia porto e da lì hanno arrancato fin quassù. Le ambulanze sono parcheggiate e hanno spento i lampeggianti. È piuttosto improbabile ci sia da correre in ospedale.
Un prete con la giacca a vento nera infangata, la tonaca e una sparata di bottoni, proprio la tonaca dei preti di una volta, scende dal centro del paese e dice che invece bisogna sperare e affidarsi al volere di Nostro Signore. Poi benedice i vigili del fuoco. Si rimette lo zuccotto, accigliato borbotta che «tanto qui scontiamo sempre gli stessi peccati», e sparisce nelle tenebre.