La Stampa, 27 novembre 2022
Ischia, l’isola dei condoni
Neanche il dolore per le vittime può reprimere la rabbia che prende alla gola quando, regolarmente, i territori dissestati d’Italia presentano il conto alla popolazione. Purtroppo chi ha maggior interesse nel non capire è subito pronto a puntare il dito: rispetto per i morti, prima, si chiede, rimandando a chissà quando la comprensione. Si chiede rispetto per le vittime, ma poi se ne perdono presto le tracce in tempo di pace, quando non piove e gli alberghi delle località turistiche sono pieni e sembra di vivere nel migliore dei mondi possibili. Ma il rispetto che manca davvero è quello per i vivi e siamo sicuri che il miglior modo per onorare chi è venuto a mancare è proprio quello di esercitare la memoria e la conoscenza, illudendosi che dopo questa volta sì, almeno questa volta, si possa girare pagina.Ischia è stata uno dei paradisi d’Europa per decenni, se non per secoli, e ha continuato a esserlo perfino dopo il terremoto del 1883 e l’alluvione del 1910. Ma oggi periodicamente assomiglia a uno degli inferni, e le ripetute alluvioni con frane (l’ultima del 2010) e il terremoto del 2017 lo testimoniano drammaticamente. Certo, l’estremizzazione del clima ci mette del suo, soprattutto in termini di quantità di acqua caduta per unità di tempo: i flash-flood sono ormai la regola nelle nostre isole e anche piccoli impluvi possono rivelarsi micidiali. E c’entra moltissimo anche la costituzione geologica del territorio: le regioni vulcaniche attive sono, appunto, sempre in movimento geologico e offrono la gola agli eventi atmosferici. Ma proprio per questo ci vorrebbero maggiori precauzioni e prevenzione, invece della colpevole indifferenza e della speranza nella buona sorte, considerando disastri quelli che non dipendono affatto dalla stelle avverse (come nell’etimo della parola), ma solo ed esclusivamente da noi, dalle nostre azioni e dalle nostre omissioni.Un’immagine aerea del margine settentrionale dell’isola d’Ischia spiega più e meglio di mille parole: edifici, case, costruzioni di ogni tipo e natura affastellate sul mare senza alcuna pianificazione né precauzione, la natura originaria cancellata e, quando va bene, sostituita da lacerti di paesaggio addomesticato, l’ambiente strapazzato. Case su altre case appoggiate malamente su un terreno per sua natura cedevole e fragile, in un festival della bulimia costruttiva che ha pochi pari in Italia. Per accennare solo en-passant all’abusivismo, di cui l’isola è regina incontrastata, con circa 60mila abitanti e più di 27 mila pratiche di sanatoria per abusi edilizi presentate in occasione degli ultimi tre condoni nazionali. Quasi un ischitano su due, quindi, costruisce illegalmente, un record. E ci sono anche 600 edifici che da anni sono in lista d’attesa per essere abbattuti. Non li abbatteranno mai.Ora, non necessariamente franano i terreni solo sotto le costruzioni abusive, ma è sicuro che quelle costruzioni creano un rischio ex-novo dove prima non c’era. E, non da ultimo, accrescono il degrado appesantendo i territori e obbligando all’infrastrutturazione i sindaci stessi. È una storia lunga, che si intreccia con l’economia dell’isola, ormai tutta orientata verso il turismo e l’accoglienza. Ischia un tempo era conosciuta solo dai pionieri, che comunicavano agli amici più cari il tesoro scoperto e li invitavano alla visita. Così sono arrivate le prime camere in affitto e qualcuno ha cominciato a cucinare per gli ospiti ciò che proveniva dal mare e dalla campagna. Ma quando l’isola entra nel turismo di massa, l’infrastrutturazione diventa esponenziale e il risultato è quello di soffocare gli elementi naturali del territorio e ricoprire tutto di cemento. Creando inoltre ammassi di detriti in equilibrio instabile. Così le infrastrutture rischiano comunque il crollo, perché Ischia non ha spazi illimitati, e le infiltrazioni malavitose possono diventare la regola, visto che sono quasi sempre capitali esterni a sfruttare quella miniera d’oro che invece prima era una ricchezza diffusa e consentiva a tutti di sopravvivere, garantendo al contempo agli avventori la qualità del soggiorno. Un’isola come Ischia, se non avesse le terme aperte tutto l’anno e i congressi di medici, sarebbe probabilmente già scomparsa dagli itinerari del turismo di qualità, quello che resta più a lungo, si affeziona e ritorna, e non il mordi e fuggi che anzi da quelle condizioni viene incrementato.Turismo o no, nei luoghi pericolosi non si può continuare a vivere e non ci sono opere che tengano come dimostra il terrapieno franato di questa ultima tragedia. Non possiamo pensare di innalzare muraglioni di cemento su ogni singola località a rischio della penisola e delle isole, primo perché sarebbe orribile e innaturale, secondo perché sarebbe inutile. Dai luoghi troppo pericolosi bisogna comunque venire via: se sono abusivi abbattendo quelle costruzioni che il rischio lo hanno creato, perché la sanatoria eventuale non lo potrà mai sanare, se non lo sono aiutando in concreto la delocalizzazione.Dispiace scrivere queste righe, anzi, ripetere queste parole, ma non sono dettate dal pregiudizio (peraltro, come nipote di napoletani mi sarebbe difficile) o da un malinteso senso di superiorità, solo dall’osservazione di quanto avviene ormai da decenni e dalla rabbia di aver provato a farlo notare ricevendone in cambio solo l’accusa di non amare l’isola o di essere un menagramo. Perché da noi sembra che gli eventi naturali diventino catastrofi per caso, perché così piace agli dei, e non perché ci comportiamo male con il territorio e non ci piace, proprio non ci piace, chi punta il dito nel tentativo inutile di evitare morti e danni. Ed è giusto farlo notare ora, quando c’è ancora dolore, perché così se ne possano evitare altri in futuro, visto che su quelli di oggi c’è poco da fare per rimediare. Ma mentre lo scrivo so già che non sarà così, che la prossima sarà ancora la stagione dei condoni e degli abusi, del girare la testa dall’altra parte, dell’attesa del bel tempo per scordare il più in fretta possibile ciò che invece non dovrebbe essere dimenticato. «E basta ca ce sta ‘o sole / ca c’è rimasto ‘o mare … Chi ha avuto, ha avuto ha avuto / Chi ha dato, ha dato, ha dato /Scurdàmmoce ‘o ppassato …» con quello che segue. —