La Lettura, 27 novembre 2022
La pazienza, ovvero storia delle rappresentazioni del cane
Risulta tutt’altro che facile dire che cosa sia il tempo, una delle realtà più sfuggenti che possano esistere, in sé e riguardo alla nostra vita. È particolarmente utile perciò approfondire la natura di tutto ciò che ha a che fare con quello, oggettivo o vissuto che sia. Come la perseveranza, per esempio, la costanza e la pazienza. Questo è ciò che si prefigge di fare Andrea Tagliapietra in I cani del tempo. Filosofia e icone della pazienza (Donzelli, pp. VI-196, e 34) e lo fa da par suo, ovvero con grande dottrina e superiore capacità di scrittura.
Tutto ciò può essere osservato fin dalle primissime pagine del libro, dove il nostro autore si avventura a delineare l’etimo e la storia di una parola come «pazienza». Sono pagine che si leggono con enorme piacere dal punto di vista stilistico, come accadrà poi per tutto il libro, che tratta essenzialmente, come abbiamo già detto, del rapporto fra il tempo e la pazienza, anche se il tutto è presentato sotto la veste di una storia delle raffigurazioni artistiche del cane e del loro rapporto con il trascorrere del tempo.
Il tempo c’entra comunque, quindi, perché la pazienza rappresenta uno dei modi che abbiamo di rapportarci al tempo. O magari l’unico; certo uno dei più noti. Tutti infatti sanno che cosa sia la pazienza, ma non mi pare che sull’argomento esista una ricca bibliografia. Ecco che allora il ricamo stilistico di Tagliapietra si estende anche ai contenuti, prendendo in considerazione l’evoluzione storica dei termini variamente correlati all’esercizio della pazienza. Fin dall’antichità.
È proprio strano il destino delle parole che usiamo. Alcune sono state utilizzate talmente tanto negli anni e con tale disinvoltura da avere quasi perso il loro significato, progressivamente eroso o reso ambiguo in modo imbarazzante. Personalmente tendo ad attribuire a questo fenomeno buona parte del deterioramento culturale che è possibile osservare al momento nella popolazione. Ma questo è un altro discorso. Quello che ci interessa osservare qui è la ricchezza e la varietà dei termini che sono legati storicamente e concettualmente ad alcune parole guida. Fare questa ricognizione con accuratezza sortisce l’effetto contrario a quello di abusare delle parole: le mantiene infatti fresche e vitali e le candida come possibile oggetto di una trattazione dotta accessibile a tutti.
Si consideri a questo punto quello che il nostro autore riesce a fare con i sinonimi e i quasi sinonimi della parola pazienza. Ciò ha due risultati: da una parte aiuta ad approfondire l’evoluzione storica di un concetto. Dall’altra, arricchisce di sensi paralleli e magari «altri» le parole quotidiane. Tutti parliamo di pazienza e tutti più o meno ci intendiamo sul suo significato, ma è particolarmente interessante ripercorrere gli agganci naturali e culturali del processo. Se ne ottiene insomma un approfondimento semantico e un arricchimento concettuale.
Buon divertimento quindi, ma prima due riflessioni sulla pazienza, una virtù tanto apprezzata quanto poco osannata. Perché? Forse perché si tratta di una virtù di rincalzo. Che si difende ma non attacca, rassegnata quanto basta per non soccombere, ma non predisposta per trionfare. In fondo la pazienza sta al coraggio come una foglia di mimosa chiusa e quasi vergognosa sta ad una foglia di mimosa trionfante: può sempre aprirsi e non è seconda a nessuna.
Nel concetto di pazienza convivono quelli di costanza e di coerenza, oltre a quelli di sopportazione e resistenza, la capacità di non precipitarsi, ma prendere invece tempo, magari per allargare il ventaglio delle cose da tenere in considerazione, il guardare avanti anche senza motivo, per una sorta di fiducia non negoziabile e, soprattutto direi, la probabilità di incontrare il kairós, il momento opportuno. Il tempo non ha pazienza, ma ce la cede volentieri.