Tuttolibri, 26 novembre 2022
Alessandro Magno era un bravo ragazzo
Gli eroi, si sa, son tutti giovani e belli. E, quando ci immergiamo nei miti e nella storia dell’antica Grecia, abbiamo spesso a che fare con avventure di ragazzi (e ragazze). Oreste era un adolescente quando uccise sua madre. Antigone poco più che una bambina quando levò la sua voce solitaria contro le leggi della città. Achille era molto giovane, più giovane di Patroclo. Ma anche Alessandro Magno aveva appena vent’anni quando ascese al trono di Macedonia per poi irrompere con la sua armata nei territori sconfinati dell’impero persiano.
Peraltro, parliamo di un mondo, quello greco, che spesso dava un peso fondamentale all’articolazione del corpo civico per classi di età. I ruoli erano ben definiti. Secondo il luogo comune, la naturale ma pericolosa impulsività dei giovani doveva essere imbrigliata dalla saggezza degli uomini maturi, mentre gli anziani, ormai inabili alla guerra, potevano tuttavia servire la città con i loro saggi consigli. A Esiodo, per esempio, si attribuiva un verso poi diventato proverbiale: «I giovani agiscono, gli adulti deliberano, gli anziani pregano». Non dobbiamo però immaginare che, come vuole una retorica già antica, i giovani rispettassero sempre i vecchi. Non a caso del verso esiodeo circolava anche una parodia scurrile che sostituiva alla parola «pregano» la parola «scorreggiano».
In ogni caso, guardare alla società greca attraverso la griglia delle classi d’età è senz’altro utile. Perciò è un’eccellente idea quella che sta alla base del libro di Laura Pepe: offrire, per così dire, un ritratto dei greci da giovani attraverso alcune figure esemplari. In verità, il tema della gioventù diventa a volte solo un pretesto per narrare i vecchi e cari miti a cui tutti siamo affezionati (le storie di Oreste, Edipo e delle loro famiglie). Oppure per parlare di lirica erotica e, in particolare, di Saffo, qui immaginata non come matura istitutrice di un tiaso femminile ma come giovinetta tra altre fanciulle in fiore. Suscita qualche dubbio leggere che la poetessa descriverebbe l’eros «con disarmante sincerità». Comunque sia, i palpiti amorosi delle ragazze di Lesbo, inesauribile alimento di fantasie post-romantiche spinte fino alle soglie del kitsch, sono qui evocati con partecipazione.
Poi c’è Antigone, a lungo icona di ogni ribellione. Quando, nel Novecento, l’ingiustizia si è incarnata nei regimi totalitari, la giovanissima figlia di Edipo ha rappresentato la disobbedienza alle leggi dello Stato in nome di più alti precetti morali: Bertolt Brecht, per esempio, la schierava contro il nazismo. Oggi questo paradigma tragico funziona ancora, seppure in modo più intermittente e a volte sgangherato, per cui tocca ascoltare paragoni un po’ a vanvera tra Antigone e Greta Thunberg (Sofocle, che era notoriamente uomo di buon carattere, ci perdonerà senz’altro dall’Isola dei Beati in cui risiede). In realtà, agli ateniesi Antigone doveva apparire soprattutto come una giovane rampolla dell’aristocrazia che difende la sacralità dei legami di sangue e quindi esige onori funebri per il fratello Polinice sebbene nemico della polis. Forse, come scrive Pepe, il pubblico riconosceva nel suo personaggio il ritratto di «un’adolescente viziata e insopportabilmente aristocratica, tronfia della sua nobiltà, che ha caro un fratello traditore e si considera superiore alla città e alle sue leggi».
A irritare il sovrano Creonte, comunque, è proprio il fatto di vedere il suo potere contestato da una donna che, per di più, è una ragazzina (com’è ragazzino il figlio del re, Emone, il quale pure si ribella all’autorità paterna). La dialettica tra figli e padri, giovani e vecchi è spesso violentemente conflittuale nel teatro antico. Può darsi sia un tratto di realismo. Pepe dedica un capitolo ad Alcibiade, che fa irruzione nella politica ateniese proprio sbandierando il dinamismo della giovinezza di contro all’inerzia dei vecchi. Memorabili le pagine di Tucidide sull’assemblea che delibera la disastrosa spedizione in Sicilia, dove il più maturo e prudente Nicia incarna l’accortezza degli anziani e invita a diffidare dell’audacia sconsiderata dei giovani, di cui Alcibiade è l’alfiere. Ma la gioventù domina già nei poemi omerici. Nell’Odissea, che pure fin dal titolo mette al centro un eroe ormai più che maturo, larga parte ha il percorso di crescita del ragazzo Telemaco. Mentre l’Iliade elegge direttamente a protagonista il giovanissimo Achille. Focalizzando anche il suo rapporto con la madre, la sollecita e ingombrante Teti, misteriosa divinità del mare. Pepe sottolinea che «il materno, per i greci, contava molto meno del paterno». Ma tanti eroi, sia del mito sia della storia, hanno dovuto fare i conti con madri altrettanto ingombranti. Basti pensare ad Alessandro Magno che, forse, se ne andò a conquistare l’Asia anche per stare il più lontano possibile da sua mamma Olimpiade, tirannica, autoritaria e al tempo stesso invasata da fervori mistici. Anche se poi, ci assicurano gli antichi, come un bravo studente in Erasmus, le scriveva lettere affettuose per aggiornarla sui suoi successi. —