Di Ottavia Casagrande per “Sette – Corriere della Sera”, 26 novembre 2022
L’ORGASMO E’ UNO STATO MENTALE - CATHERINE ROBBE-GRILLET, LA DOMINATRICE PIÙ CELEBRATA DI FRANCIA, A 92 ANNI RACCONTA CHE "IL PIACERE HA PERCORSI TORTUOSI: SIAMO PORTATI A CREDERE CHE SIA LEGATO A ELEMENTI ESTETICI, FISICI. FORSE QUESTO VALE PER LE FOTO. IL SESSO E’ RIMASTO FERMO AI TEMPI DELLA PREISTORIA" – POI RACCONTA COME NASCONO LE SUE "CERIMONIE": "SONO SPETTACOLI ARTISTICI. INFATTI SONO FINITA IN UN MUSEO, AL CENTRE POMPIDOU” - ALLA DOMANDA SE ESISTONO ANCORA TABÙ RISPONDE: "SÌ, UNO..." ECCO QUALE - VIDEO -
Suprema sacerdotessa del bizzarro l’ha definita un cronista della vita intellettual-mondana di Parigi; icona erotico-culturale cementata nell’immaginario francese; moderna Marquise de Sade. Come ci si sente a essere concepita come un assoluto? Questa la domanda che mi ronzava in testa, mentre preparavo l’intervista. Rintracciare il numero di telefono è stata la parte più semplice dell’impresa. È bastato recarsi nella boutique più à la page in fatto di moda BDSM (acronimo per bondage e disciplina, dominazione e sottomissione, sadismo e masochismo) di Parigi, il Métamorph’Ose nel quarto arrondissement. Il titolare non solo la conosce, la venera.
E comunque Madame esce sull’elenco. Recuperati dunque due numeri di telefono fisso, quello dell’apparta- mento parigino e quello del castello in Normandia dove trascorre le vacanze. È estate e normalmente — mi dicono —, come tutte le signore che si rispettano, la trascorre in campagna. A più riprese compongo il numero e lascio squillare. Immagino il trillo risuonare lungo inter- minabili corridoi, attraverso infiniti saloni. Stessa scena con il numero di Parigi, meno i corridoi, meno i saloni, suppongo. Comunque sia, non risponde nessuno. Azzardo un tentativo con la casa editrice che ha pubblicato il suo ultimo libro. Dall’altro capo del filo percepisco il sorriso garbato dell’addetta stampa: «Nei miei ricordi, è inutile chiamarla prima delle due».
Finalmente, complici le elezioni legislative, la trovo nella capitale dove era tornata per votare. Neppure la do- minatrice più celebrata di Francia si sottrae al suo dovere di cittadina. La voce — a sorpresa — è brillante, festosa e, come presto scoprirò, capace di tutte le sfumature. Gli anni per lei sono un velo leggero. Catherine Robbe-Grillet, protagonista di una delle vite più originali mai viste sul pianeta, ha novantadue anni e mille impegni, tant’è che fissiamo un appuntamento a distanza di tre mesi. Appena il tempo per compiere un po’ di ricerche, leggere i libri suoi e del marito, vedere i loro film...
Esile, minutissima, potrebbe sembrare fragile, se non avesse la serena grazia di chi possiede una sicurezza assoluta. Stivali di pelle nera, pantaloni neri, golf nero abbottonato stretto sotto il collo, icastico turbante anch’esso nero. Eleganza definitiva, terminale. Coco Chanel non avrebbe saputo fare di meglio. Il passo è agile, svelto, leggero come quel- lo di una bambina. Infantili sono anche lo slancio e il riso ai quali si abbandona mentre racconta, rivive, ricorda.
Crollo immediato del primo cliché, quello dell’immaginario corrente BDSM che vuole la dominatrice come una valchiria imponente dal tono imperioso: niente latex, tacchi 24, ciglia finte, nessuna enfasi autoritaria, nessuna ostentazione sexy. Neppure il più lieve ammiccamento. Alla bambina dagli occhi innocenti e profondi manca solo il colletto bianco smerlato. Mentre parla il viso è lucente, aperto, attento, mobile, come le mani che muove con garbo per sottolineare le parole. Un ossimoro vivente Catherine, infantile eppure überfemminile.
Lei riesce a trasformare un semplice bagno in un rito... «A me interessa scatenare un’emozione erotica. Le mie cerimonie sono degli spettacoli, delle messe in scena, immaginate e preparate meticolosamente. Scelgo gli attori, ossia i partecipanti, la scena, i costumi. Ne scandisco il ritmo, i tempi, le entra- te, le uscite, lo svolgimento. C’è un copione con preludio, inizio, sviluppo, fine, a volte anche l’epilogo, per prendersi il tempo di tornare alla realtà.
Allestisco dei quadri vi- venti, elaborati e solenni, dove la tensione non solo erotica, ma anche drammaturgica sale fino all’impossibile, fino a diventa- re insostenibile. Questo m’interessa. Non c’è per forza sesso. Anzi, non c’è quasi mai sesso. Il sesso è un pretesto. Tra l’altro alla mia età... ho comunque un’etica! (Ride). Vogliono farci credere che il sesso non ha età. Non è vero, il sesso ce l’ha eccome. L’erotismo non ha età».
Lei trasforma l’erotismo in arte. «Infatti sono finita in un museo! (Ride ancora). Al Centre Pompidou. Un aspetto importante delle mie cerimonie è che sono effimere. Gli attori, gli officianti sono anche gli spettatori. Gli unici spettatori. Dei miei riti rimangono solo la memoria e i racconti fatti a mezza voce. Questo li colloca in una dimensione a parte, sospesa, parallela, forse sacra. Se si aggiunge che non c’è, non c’è mai stato, scambio di denaro, questo li rende unici. Ci sono molte professioniste che praticano il BDSM, ma il denaro trasforma i rapporti in transazioni economiche. Come si fa a stabilire se c’è stato vero piacere? Mentre il legame che si forma tra me, il sottomesso e le aiutanti è unico, indissolubile».
Spesso nelle sue cerimonie si circonda di donne. «È vero. È una sorta di club femminile. Mi piace avere delle complici. Mi piace concepire delle messe in scena ambiziose, dirigere varie persone, osservare le loro reazioni. Siamo arrivati fino a quattordici partecipanti. Di solito il sottomesso o sottomessa, due o tre uomini chiamati ad aiutare e delle amiche. Io metto in scena i sogni erotici più inconfessabili. O che per lo meno la società reputa tali. Per me, solo le passioni non condivise sono sinistre».
Questo genere di messe in scena oggi si chiamano performance. «Quando è uscito il mio libro Cérémonies de femmes (cerimonie di donne) ero convinta che molte altre donne mi avrebbero scritto per dirmi che anche loro alle- stivano simili rituali. Ho ricevuto migliaia di lettere da uomini. Una corrispondenza da ministro! (Ride). Molti si proponeva no come sottomessi. Solo sette donne mi hanno scritto. Lettere d’ingiurie. A quanto ne so, sono l’unica al mondo a praticare questo genere di cerimonie non per denaro».
A proposito, come si è svolta quella cerimonia che è finita al Centre Pompidou? «È stata una novella del Boccaccio a darmi l’ispirazione. Quella di Nastagio degli Onesti che racconta una caccia alla donna. Avevo intuito, senza che fosse mai detto esplicitamente, che a questa mia amica, con la quale avevamo un rapporto di dominazione e sottomissione, interessava la caccia. Una notte, in un parco chiuso di cui avevo le chiavi, ho messo in scena quella che ho capito essere una sua fantasia. Le fantasie spesso sono inespresse, o meglio inesprimibili. Lei voleva correre nuda, di notte, in un bosco, inseguita da cani e cacciatori. Io l’ho reso possibile. Questa cerimonia è stata talmente inusuale e riuscita che ho chiesto ai partecipanti e alla “preda” di scriverne un resoconto. Di solito, al chiuso, ho la situazione sotto controllo. In questo caso lo spazio era troppo grande e dispersivo. Volevo conoscere il punto di vista di ciascuno dei presenti: come ave- vano vissuto quest’esperienza. Al Pompidou, siamo state invitate a leggere questi resoconti. La “preda”, che è cineasta, ne ha tratto un film».
Lei cita spesso Leonardo da Vinci, secondo il quale il piacere è «cosa mentale». «Il piacere ha percorsi strani, tortuosi. Siamo portati a credere che passi principalmente dal corpo, che sia legato quasi esclusivamente a elementi estetici, fisici. Su quest’idea si fonda la società dell’immagine. Forse questo vale per le fotografie. Funziona in superficie. Ci si può accontentare e rimanere lì, ma il piacere ha radici molto profonde. Perché non esplorarle? Siamo arrivati a livelli elaboratissimi, vedi nevrotici, in ambiti come la moda, la gastronomia, mentre il sesso è rimasto fermo ai tempi della preistoria. La seduzione, il piacere è un incessante gioco di forze. Più penetriamo nelle profondità di questa trama, più intenso è l’appagamento».
Nei suoi libri torna a più riprese sulla condanna dei clichés. In ambito erotico sono molto presenti, a volte determinanti: tacchi, fruste, bende, corde. È difficile sfuggir loro, ma in arte sono una disgrazia. «Sa, io ricordo i tedeschi che marciavano per strada. Perfetti, elegantissimi. Gli italiani invece erano sgangherati, ma cantavano benissimo. Sono stata educata in un istituto religioso. Il martirio, il sacrificio di sé, era la massima aspirazione per una ragazza della mia generazione. (Ride). Per forza l’immaginario, almeno il mio, è costellato di San Sebastiani, croci, calvari. Probabilmente cambierà. Anzi, è già cambiato. Oggi ricevo richieste particolarissime, molto personali. Se vogliamo l’apparato religioso non è più di moda. L’immaginario muta al pari della società».
All’inizio c’erano Jeanne de Berg e Catherine Robbe-Grillet. «Nel 1956 è uscito il mio primo libro, L’image. È stato bruciato pubblicamente e censurato a più riprese. L’ho firmato con uno pseudonimo, Jeanne de Berg, perché volevo una carriera indipendente da quella di mio marito. Alain Robbe-Grillet all’epoca era lo scrittore più conosciuto di Francia, considerato il papa del Nuovo romanzo. Ho mantenuto l’anonimato fino al 1985, quando è uscito Cérémonies de femmes. Per promuovere il libro ho partecipato alla trasmissione Apostrophes di Bernard Pivot, allora seguitissima. Ero velata e mascherata per non essere riconosciuta. Al termine della trasmissione, Bernard ha fatto un gioco di parole svelando la mia identità. Da allora ho assunto e unito i due ruoli. I tempi erano cambiati».
Mi dica di Alain... «Di Alain (gli occhi le si illuminano) non sono mai stata innamorata. Abbiamo avuto una vita particolare, fuori norma, forse irripetibile. Molti nostri amici hanno provato ad avere lo stesso tipo di rapporto. Per lo più non ha funzionato. C’era una tenerezza infinita e una fiducia assoluta, ma anche libertà, una libertà totale. Molti dei tabù che abbiamo sfatato allora, penso alla coppia aperta, al BDSM, non sono più tali. Forse ne rimane ancora uno... l’impotenza maschile. Quest’anno, Alain avrebbe compiuto cent’anni...».
Il 1922 è un anno capitale per la letteratura europea: muore Marcel Proust, esce l’Ulisse di James Joyce, nascono Alain Robbe-Grillet, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Manganelli. Le lettere francesi però hanno un tratto unico: flirtano spesso e volentieri con lo scandalo, la provocazione, l’abiezione anche. Da de Sade, passando per Baudelaire, Rimbaud, Genet, fino ai contemporanei Houellebecq e Despentes. «Alain sarebbe sorpreso da ciò che si scrive oggi. Siamo circondati da un bullismo moraleggiante, che limita la libertà d’espressione, di seduzione, di sperimentazione. La libertà di rischiare. Lui credeva nella forza dell’arte per l’arte, senza buone intenzioni, senza lezioni da impartire. Ora l’arte è salita sul pulpito».
Da Jeanne de Berg a Catherine Robbe- Grillet; da sottomessa a dominatrice; da Alain a Beverly Charpentier, da qualche anno sua moglie. «Spostamenti progressivi del piacere come il titolo di un film di Alain. La vita sta nel movimento, nella metamorfosi».