Il Messaggero, 26 novembre 2022
Gli ucraini uccidono 10 tecnici iraniani
C’è in Ucraina una guerra parallela a quella terribile in corso da ormai nove mesi tra il Golia di Mosca e il Davide di Kiev: è quella che i difensori del Paese aggredito da Vladimir Putin stanno conducendo contro l’Iran. Sì, perché il regime islamico di Teheran – pur alle prese ormai da settimane con una ribellione interna che impegna in modo crescente le forze di sicurezza e causa pericolosi scricchiolii nel sistema di potere – è diventato un alleato di Mosca non solo sul piano politico, ma anche e soprattutto su quello militare. E lo fa fornendo da oltre un mese alla Russia, sempre più chiaramente forte nei numeri ma carente nella qualità degli armamenti, quei droni-kamikaze Shahed-136 che provocano gravissimi danni alle infrastrutture ucraine. In particolare, distruggendo centrali elettriche e acquedotti, rendendo possibile l’obiettivo del Cremlino di ridurre i civili ucraini al buio, al freddo e alla sete. La notizia di oggi è che le forze speciali di Kiev hanno avuto successo nella loro caccia agli specialisti iraniani al seguito degli invasori russi per addestrarli all’uso di queste armi volanti. Il mese scorso, annuncia ora il segretario del consiglio di sicurezza nazionale ucraino Oleksyi Danilov, la ricerca dei consiglieri iraniani si è conclusa con la loro uccisione. I tecnici militari inviati da Teheran, dettaglio tutt’altro che secondario, si trovavano in Crimea: cioè in un territorio ucraino che Mosca ha annesso dopo un colpo di mano militare nel 2014, e che Kiev continua a considerare proprio. Danilov, nel confermare senza riferimenti numerici quelle voci che la stampa israeliana aveva già diffuso un mese fa («Dieci consiglieri iraniani uccisi in Crimea dagli ucraini»), ha mandato all’Iran un avvertimento minaccioso: «Non si dovrebbe essere nel posto sbagliato – ha detto l’alto funzionario ucraino, citato dal quotidiano inglese The Guardian -. Erano sul nostro territorio, ma noi non li avevamo invitati. E se collaborano con i terroristi (i russi, nda) e partecipano alla distruzione della nostra nazione, dobbiamo ucciderli». In un primo momento, l’Iran aveva cercato di negare di aver venduto gli Shahed a Putin. Però, mano a mano che prove inconfutabili si accumulavano, hanno dovuto goffamente cambiare versione: prima raccontando di averne ceduti solo un piccolo numero prima dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina, poi pretendendo di non avere responsabilità «per l’uso che viene fatto da parte di altri di ciò che gli vendiamo», come se non fosse ben noto che Iran e Russia hanno una stretta collaborazione in molti campi e che Teheran è una delle principali protagoniste di quella rete tra autocrazie anti occidentali che lega tra loro Russia, Cina, Iran, Siria, Venezuela, Bielorussia, Cuba, Corea del Nord e altri Paesi minori. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha cercato di ottenere da Israele, nemico giurato dell’Iran, la tecnologia difensiva antiaerea che protegge i cieli dello Stato ebraico. Invano: Gerusalemme, per una serie di ragioni, non considera nel proprio interesse inimicarsi la Russia. Un aiuto è però arrivato lo stesso, sotto forma soprattutto di intelligence. Ed è grazie alle informazioni israeliane che gli ucraini hanno potuto colpire i consiglieri iraniani in Crimea. Il coinvolgimento di Teheran nell’attacco russo all’Ucraina si sta ora approfondendo, prendendo nuove forme. Una settimana fa il Washington Post ha pubblicato informazioni d’intelligence occidentali secondo cui Putin e gli ayatollah si sono accordati per far produrre gli Shahed in Russia entro qualche mese. E non c’è bisogno di dire che la rivolta popolare contro il regime di Teheran viene vista come una minaccia dal Cremlino: se in Iran la situazione dovesse precipitare, una mano interessata da Mosca agli aguzzini islamici arriverà sicuramente.