Avvenire, 26 novembre 2022
I recuperi monstre del Qatar
La sabbia c’è, e la sabbia è l’elemento essenziale in una clessidra. Chissà, forse non poteva che essere il Mondiale in Qatar quello caratterizzato da recuperi monstre tali per cui tutte le partite disputate sinora hanno superato la soglia dei cento minuti. Tralasciando Inghilterra-Iran di lunedì scorso, dove il gioco era rimasto a lungo fermo per i soccorsi al portiere Alireza Beiranvand e l’arbitro aveva assegnato complessivamente 27 minuti di recupero tra primo e secondo tempo, extra-time da sette e otto minuti, tanto nella prima frazione quanto nella ripresa, sono un classico di questo Mondia-le, almeno quanto il recupero del recupero, ovvero il tempo addizionale ulteriormente consesso al termine del recupero propriamente detto, e mai segnalato dai direttori di gara. Una situazione, quest’ultima, che è fonte di suspense, anche perché poi difficilmente si riesce a capire quando arriverà davvero il triplice fischio, quale sarà la fatidica ultima azione.
Il motivo dell’allungamento delle gare è da ricercarsi in una precisa indicazione di Pierluigi Collina, presidente della commissione arbitri della Fifa, che già prima dell’inizio dei Mondiali aveva sottolineato la necessità di aumentare il tempo di gioco reale. Collina aveva definito «inaccettabile» che le partite durassero «42, 43, 44, 45 minuti di gioco attivo. Un festeggiamento per un gol può durare un minuto o un minuto e mezzo. Immaginiamo che in un tempo ci siano due o tre gol segnati, quindi è facile perdere tre, quattro o cinque minuti solo per i festeggiamenti. Questo tempo deve essere considerato e compensato alla fine», erano state le sue parole. Un’avvertenza subito presa alla lettera dai direttori di gara da lui portati in Qatar, ed ecco allora i tantissimi minuti di recupero concessi a fronte, evidentemente, dell’incapacità di neutralizzare le perdite di tempo, perché poi l’aspetto da evidenziare è anche questo. Ciò che ha sostenuto Collina seguiva il solco di un ragionamento fatto anche da Infantino lo scorso aprile a Firenze e che portò alcune testate a scrivere di un’ipotesi di allungamento strutturale del recupero sino ai 100 minuti per Qatar 2022, cosa che si è poi effettivamente verificata. Si va verso il tempo effettivo? La domanda è legittima, la risposta tutt’altro che univoca. L’Ifab più volte ha ragionato dell’ipotesi, sollecitata dalla Fifa stessa, e non si può escludere che in tempi brevi vi sia anche una sperimentazione a livello giovanile, con gare di due tempi da 30 minuti effettivi ciascuno.
Piuttosto è necessario rendersi conto di cosa comporterebbe il tempo effettivo nel calcio, che non è il futsal né il basket, sport che si giocano nei palazzetti: non basta un cronometrista, vi sono punti delicati come la rigidità delle procedure di sostituzione dei giocatori (una situazione ben diversa da quella nella quale i cambi sono illimitati e possono essere effettuati a gioco in corso), l’attuale immanenza del Var che già allunga a dismisura i tempi morti o, banalmente, le dimensioni del campo, aspetto quest’ultimo che ha a che fare con la disponibilità immediata di palloni e raccattapalle. Chi segue il calcio a 5 sa che una gara di 40 minuti effettivi può durare tanto un’ora quanto due ore, e difficilmente il calcio può permettersi quest’alea. Agire sul recupero al momento è un compromesso, più che una soluzione, ma ciò che fa specie è come non si riescano a impedire le perdite di tempo e, anzi, si finisca per perderne sempre di più e giocare sempre di meno.