Corriere della Sera, 26 novembre 2022
La parabola di Macron
L’inchiesta sui finanziamenti di McKinsey è una bella grana per Macron. Non giudiziaria: il presidente ha l’immunità. Politica. Il problema non sono i soldi. In Francia, come in Italia, l’opinione pubblica è convinta che un po’ tutti i leader abbiano denaro da parte, e da più parti ne ricevano.
Di Macron poi non si può certo dire che qualcuno gli abbia comprato l’Eliseo. Ha vinto due campagne elettorali senza troppi patemi: sempre in testa al primo turno; ballottaggio comodo contro una rivale che gli lasciava il centro del sistema politico. E i soldi li ha presi prima dai russi, poi dagli ungheresi.
Il problema è McKinsey. Questa inchiesta concretizza il fantasma che da sempre aleggia sul presidente. Dà forma al pregiudizio che cova in almeno metà dei francesi: che Macron sia una sorta di «Manchurian candidate», di leader eterodiretto, creato ad arte. Nel 2017 Marine Le Pen l’aveva detto apertamente al Corriere, attribuendo il pregiudizio addirittura al Papa: «Francesco ha detto di Macron “non lo conosco, non so da dove viene”. E sa cosa dice il Vangelo? (Le Pen cercò la citazione sul suo tablet). Ecco qui: Luca, 13, 25: “Quando il padrone di casa chiuderà la porta, comincerete a bussare, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete”. Il Papa non parla a caso – proseguì Marine —. Il Papa non si riconosce nel candidato ultraliberale che sostiene la precarizzazione del lavoro, nell’uomo della grande finanza…».
Al di là delle evocazioni evangeliche, da mezza Francia Macron è considerato proprio questo: il candidato delle multinazionali, della finanza anglosassone, dei padroni della globalizzazione, venuti a smantellare «l’eccezione francese», una nazione statalista e sociale che pur perdendo colpi ancora funziona.
Ovviamente, questa non è la verità; è una narrazione. Che però affascina e persuade. Non sappiamo se Macron abbia favorito McKinsey in cambio di qualcosa. Di sicuro i rapporti con la multinazionale della consulenza sono cominciati quando era un giovanissimo ministro delle Finanze. E ha consultato McKinsey sul tema tabù della politica francese da trent’anni a questa parte: la riforma delle pensioni. Sulle pensioni Chirac perse le elezioni legislative del 1997; anche a causa delle pensioni Macron quest’anno non ha conquistato la maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale. Porta male toccare quelli che le élites definiscono privilegi e il popolo diritti. Soprattutto se la riforma non è affidata solo alla burocrazia francese, di alto livello e gelosissima del proprio ruolo, ma coinvolge appunto una multinazionale. Che, come tutte le multinazionali, versa in Francia una quota di tasse preferibilmente vicina allo zero.
La percezione
Da metà del Paese Macron è considerato il candidato delle multinazionali
Nella realtà, Macron non è al servizio di nessun interesse estero. Anzi, ha dimostrato di saper difendere l’interesse nazionale francese, com’è inevitabile fino a quando non avremo un presidente europeo eletto dal popolo, che non risponda solo agli elettorati nazionali; che è poi il suo sogno politico. Non è in dubbio l’intelligenza di Macron, né la sua intuizione: l’alternanza tra destra e sinistra poteva essere spezzata con uno schema nuovo. I confronti tv con Marine Le Pen sono stati imbarazzanti: da una parte un uomo dal curriculum internazionale, che padroneggiava numeri e dossier; dall’altra una capopopolo a suo agio nei comizi, nel marasma più completo di fronte a un esperto di economia e finanza.
Eppure Macron non è mai davvero riuscito a conquistare il cuore della Francia, a indurre i compatrioti a riconoscersi in lui, a dissipare quel dubbio sull’uomo del mistero, spuntato dal nulla, legato all’establishment internazionale, discusso anche per la sua grande storia d’amore, che è autentica ma viene giudicata pure quella posticcia.
La legge lo proteggerà per altri quattro anni; però l’aura sacrale che circonda la presidenza si è dissolta da tempo. Charles De Gaulle disprezzava il denaro: «L’Intendance suivra», prima veniva l’esercito poi l’intendenza, prima la politica poi l’economia. Ma dopo di lui arrivò Georges Pompidou: un banchiere, ex direttore generale di Rothschild (anche se era stato professore di liceo, come Ciampi). François Mitterrand lo chiamavano Dieu. Jacques Chirac è stato condannato perché faceva stipendiare dal Comune di Parigi uomini del suo partito, Nicolas Sarkozy è stato anche fermato, con accuse infamanti: circonvenzione di incapace dell’anziana Liliane Bettencourt, la donna più ricca del mondo; finanziamenti da Gheddafi, poi fatto bombardare anche per cancellare le tracce. François Fillon è stato messo fuori gioco da uno scandalo piccolo ma imbarazzante, soldi pubblici alla moglie Penelope per un impiego fittizio; e il giudice che l’ha incastrato, Serge Tournaire, è lo stesso che aveva indagato Sarkozy e investiga ora su Macron. François Hollande non ha particolari grane giudiziarie; ma nessuno ha fatto più di lui per banalizzare l’Eliseo, desacralizzare l’istituzione presidenziale.
Emmanuel Macron resta una speranza per la Francia e per l’Europa; ma da ieri è forse iniziata la sua parabola discendente. E non è affatto detto che dopo di lui verrà uno migliore.