La Stampa, 26 novembre 2022
Noemi parla di Mondiali di calcio e Iran
«Meno male che non ci siamo andati a questi Mondiali. Magari non dovrei dirlo…». Noemi la sua voce graffiante non l’ha mai usata solo per cantare, e sui diritti spesso ci ha messo anche la faccia. A Sanremo lo aveva fatto uscendo per prima sul palco dell’Ariston con i nastri arcobaleno in favore delle unioni civili, sfidando ogni diffida a farlo con minaccia di esclusione dalla gara e aprendo la strada ai suoi colleghi che lo hanno fatto dopo di lei.
Noemi, affermazione impopolare in un Paese malato di calcio.
«Magari non dovrei dirlo, ma non capisco come si possa decidere di disputare un campionato mondiale in un Paese che non rispetta i diritti delle donne e degli omosessuali. In un Paese antidemocratico. E sono contenta che Dua Lipa si sia rifiutata di andare a cantare».
In Italia siamo democratici ma i femminicidi da inizio anno sono 104. Cosa non funziona, nonostante tutte le campagne?
«Le donne vivono ancora la violenza come una vergogna e tendono a non parlare, a non denunciare. Di una cosa sono contenta: che lo Stato italiano sia andato a prendere gli assassini di Saman all’estero. È bello sentire che c’è una comunità che non si arrende, che sta dalla tua parte e sarebbe bello che fosse così per tutte le morti e per tutte le donne che subiscono violenze, prima che si trasformino in tragedia. La cosa peggiore sono il silenzio e la negazione. Perché poi è comprensibile che una donna non denunci, che dica ma che mi ribello a fare se dopo sono lasciata da sola. È bello che questa nuova sensibilità non sia solo una moda e che si continui a parlarne».
Le donne dello spettacolo che si tagliano una ciocca, i calciatori della Germania con la mano sulla bocca: lei crede nei gesti simbolici?
«Certo che ci credo. Dietro i gesti simbolici delle iraniane c’è gente che muore davvero. Sei i social hanno un merito, è quello di mostrare alle iraniane, e non solo, che fuori dall’Iran le donne e gli omosessuali vivono una realtà in cui hanno il loro posto nel mondo, come è giusto che sia. E non possiamo girarci dall’altra parte. E secondo me, celebrare lo sport e il calcio in certi Paesi significa girarsi dall’altra parte».
Sui diritti la preoccupa il governo di destra?
«Credo che questo cambio di registro serva alla sinistra a ristabilire la forza di quello che deve dire e delle battaglie che deve fare. Aiuterà a ritrovare più vicinanza con l’elettorato. E comunque i Paesi più democratici sono quelli in cui le forze si alternano. Sento che c’è un dibattito più forte ora, più motivato, un discussione più propositiva, prima si parlava di massimi sistemi».
"Il" Presidente del Consiglio o "La" Presidente?
«La giraffa maschio se la prende se dicono la giraffa? Scherzi a parte, io credo che una possa decidere da sola come vuole essere chiamata. Abbiamo cose più importanti di cui discutere. E poi abbiamo difeso il gender fluid, il diritto a essere chiamati con i pronomi che vogliamo: predichiamo bene e razzoliamo male?».
Altra forma di violenza è il body shaming. Ha raccontato del post del 2018 in cui la paragonavano a Michelle Hunziker per deriderla sui chili di troppo: perché ora?
«Quel post mi fece prendere coscienza della mia condizione, della sofferenza che avevo. Il mio distacco sano dalla mia fisicità era diventato un distacco dal guardarmi, dalla consapevolezza di me e del mio corpo. Stavo vivendo un dolore, c’era una crepa dentro di me».
Cosa la faceva soffrire?
«Ti dicono che devi essere sempre all’altezza della situazione, che devi raggiungere degli obiettivi e non importa se ti senti affaticata, devi essere sempre più forte di tutto in nome di quello che devi raggiungere. Ma questo a volte non fa bene: bisogna ascoltarsi e anche ammettere che non si è più forti di tutto».
Dopo di allora si è dedicata alla sua mente e al suo corpo e ha perso molti chili. Oggi il mantra è l’accettazione di sé: o ci sono dei limiti?
«Il body shaming è una piaga, è giusto che se ne parli. E sì, bisogna accettare la propria fisicità che però non si ferma davanti allo specchio e non significa solo sentirsi belle. Perché c’è anche una dimensione medica. Bisogna sentirsi bene e anche avere un corpo sano».
Dopo la pandemia è tornata dal vivo con i concerti estivi e sta per ripartire con un tour teatrale: il Covid ci ha resi migliori?
«A volte penso di no. È stato un periodo di sofferenza e la sofferenza ci fa sentire più soli, ci fa indurire. Spero che la musica possa essere una balsamo, che ci faccia riconoscere che siamo animali sociali, e dobbiamo stare insieme».