La Stampa, 26 novembre 2022
Meloni tiene le deleghe per sé
La scelta di Meloni di concentrare su ministri e sottosegretari di Fratelli d’Italia le deleghe di governo più importanti e i dossier più spinosi segnala da parte della premier un cambiamento di strategia. Dopo aver mostrato una generosità inattesa nella distribuzione di collegi sicuri o quasi all’atto della costruzione della coalizione e delle candidature, la presidente del Consiglio, giorno dopo giorno, sta edificando dentro e attorno a Palazzo Chigi una specie di fortino, per difendersi quando le tensioni, al momento sommerse, nella maggioranza cominceranno a emergere.Ecco dunque, dopo la nomina nei ministeri e nei posti chiave di uomini e donne del suo partito e della cerchia ristretta delle persone a lei più vicine, dai ministri Lollobrigida all’Agricoltura, Crosetto alla Difesa e Fitto gli Affari europei e al Pnrr, ai sottosegretari Mantovano (presidenza del Consiglio e servizi segreti) e Fazzolari (attuazione del programma), la ragione per cui Meloni ha avocato a sè la questione delle deleghe, che sta valutando una ad una, con particolare attenzione al potenziale pericolo di scontro sociale, nella fucina di un autunno che già s’annuncia caldo e affollato di manifestazioni di piazza dell’opposizione e dei sindacati. Tre esempi chiari: Urso, ministro delle politiche industriali, manterrà il controllo delle telecomunicazioni, delega nevralgica per Forza Italia e per Berlusconi, cui dovrà rinunciare; la complessa questione della rete unica sarà affidata a Butti, altro sottosegretario FdI alla presidenza; e i balneari, categoria a rischio esplosione, passeranno dalla ministra del Turismo Santanché a quello del Sud Musumeci. Su questi temi Meloni non vuole sorprese.Non era andata così a luglio. Lo stato dei rapporti interni della coalizione, collocata per due terzi al governo e un terzo all’opposizione, non era ideale. Meloni sapeva di dover svolgere il ruolo di traino dei due alleati fiaccati dall’appoggio a Draghi. Accettando di riconoscere a Salvini percentuali di seggi basate su sondaggi generosi, poi smentite dai risultati del 25 settembre, aveva accontentato l’alleato più riottoso, premiandolo con un centinaio di eletti. E un occhio di riguardo c’era stato anche per il Cav. Ma ora la musica è cambiata.