la Repubblica, 25 novembre 2022
La fabbrica dei libri di Ferrari
Ben più travolgenti di molti romanzi pubblicati dagli editori italiani, sono le vite (romanzesche) degli stessi editori. Gian Arturo Ferrari lo dimostra – divertendosi parecchio – nella sua inattesa e scintillante Storia confidenziale dell’editoria italiana (Marsilio). Con un pedigree insolito in Italia, da umanista-scientista, con un trascorso nei maggiori marchi editoriali del nostro Paese – cominciò collaborando con Paolo Boringhieri, divenne deus ex machina di Mondadori negli anni d’oro prima della crisi economica (1997-2009) – Ferrari può vantare un’esperienza e una conoscenza integrale della fabbrica dei libri. E soprattutto può ricostruirne le vicende senza filosofeggiare sulla astratta nobiltà del mestiere di editore: richiamando semmai la concretezza già esibita cent’anni fa da un Gobetti (l’editore come creatore, sì, certo, però in grado di «dominare il problema fondamentale di qualunque industria: il giro degli affari che garantisce la moltiplicazione infinita di una sia pur piccola quantità di circolante»). Così, per riscattarsi dallaIl libro e l’appuntamento condanna al pauperismo, s’ingegnano i primi protagonisti del ponderoso volume di Ferrari: quel Mondadori figlio di contadini e quel Rizzoli figlio di ciabattino. Già c’è un potenziale dickensiano nelle premesse di avventure che cambiano il nostro paesaggio intellettuale novecentesco; e Ferrari lo sa: per quasi quattrocento pagine illumina di continuo matrici di romanzi potenziali. Lui li abbozza, li corteggia, con voce di narratore quasi onnisciente e intradiegetico, nel senso che si affaccia costantemente per allacciare il generale al personale, alla memoria di prima o di seconda mano, all’esperienza di iperlettore o di insider. Sfilano come personaggi fascinosi ed eccentrici Treves, il primo Laterza, l’Arnoldo che va a scuola di stile da d’Annunzio, un trentenne Bompiani che tesse infaticabilmente rapporti e, lettore colto e curioso, scopre Steinbeck. Un Einaudi ventenne a cui presta soldi Nello Rosselli, quel Feltrinelli capitalista vero e comunista vero, Livio Garzanti dal «carattere tempestoso», che riesce a infilare nel catalogo Pasolini e Gadda e ha fra i collaboratori ungiovanissimo Citati. Ma in questo lungo racconto in cui i libri evocati si animano come paesaggi, anche le collane editoriali sembrano avere un temperamento, un carattere: gli Oscar, la Bur, la Piccola Biblioteca Einaudi – ciascuna un timbro, una voce, una necessità, una vita avventurosa. «In editoria – chiarisce Ferrari – le vicende proprietarie e quelle di contenuto sono un tutt’uno: le seconde sono figlie delle prime, ma le prime non esisterebbero neppure senza il fascino delle seconde». Le variabili sono infinite e spesso impazzite, il clima storico – guerre, affannosi e speranzosi dopoguerra, tempeste di rivolta e di cambiamento, mode, crisi sociali, economiche – ha una sua parte consistente; e tanta ne ha il talento dei singoli, la «sconsiderata bulimia libraria» coniugata a «una sorta di strabismo che porta certo a guardare al contenuto, ma nello stesso tempo a chiedersi perché abbia preso quella forma, perché quel libro sia fatto così», e in aggiunta «l’intima certezza che tutto passa dai libri, il bene e il male, l’effimero e l’eterno».
Da pagina 107 la biografia di Ferrari si insinua e poi si impone, via via che l’apprendista guadagna esperienza e credito, vive da molto vicino le imprese altrui (gli splendenti anni Settanta dell’Einaudi, la nascita di Adelphi); guadagnandosi i necessari galloni, costruisce le proprie vittorie e se ne vanta: dalla postazione mondadoriana di Segrate, contribuisce al successo di un libro autobiografico di Enzo Biagi, Mille camere (1984), «che vende due, tre, quattro, cinque volte il budget»; da quella stessa postazione, consola autori scontenti e insopportabili come Alberto Bevilacqua, ammansisce gli agenti squali, si apre al mondo e intanto guadagna terreno «in quel bagno turco che è Villa Giulia», il teatro romano- mondano del Premio Strega. Naviga nella turbolenza dei passaggi proprietari, e – talvolta con un po’ di cinismo – cerca un punto di equilibrio fra ambizioni culturali e marketing spietato. L’occhio editoriale (multiforme: occhio del bambino, occhio del meccanico, occhio sdoppiato…) non è neutrale né infallibile. Ma proprio questo è il bello: «idee, soldi e scoperte», un mestiere imprevedibile come la vita.