La Stampa, 25 novembre 2022
Intervista a Giovanni Veronesi
Contro l’appiattimento da politically correct, in tempi in cui tutti stanno attenti a misurare i termini, Giovanni Veronesi, boomer senza paura, dice la sua sul mondo del cinema anestetizzato dall’esplosione delle piattaforme, su un possibile, poderoso revival di commedia all’italiana, sui traumi della pandemia e sulla medicina per superarli: «Ho una gran voglia di dire la verità, voglio raccontare che cavolo di popolo siamo, che cosa abbiamo detto e fatto in questi due anni di pericolo assoluto in cui siamo stati, allo stesso tempo, eroi e vigliacchi. Sono cose che vanno dette, altrimenti proponiamo sempre la solita zuppetta». Al Tff che si inaugura oggi terrà una masterclass insieme alla madrina Pilar Fogliati, poi dal 21 al 30 dicembre sarà al Teatro Ambra Jovinelli di Roma con lo spettacolo Maledetti amici miei... il ritorno (Quelli di A ruota libera), di cui è regista e interprete insieme a Nino Frassica, Alessandro Haber, Rocco Papaleo, intanto scrive il nuovo film, in lavorazione nel prossimo anno.
Nel dopo Covid c’è stata una grande fuga di pubblico delle sale, ora si vedono segni di ripresa, come andrà a finire?
«Credo che questo Natale riserverà molte sorprese, anche sul piano degli incassi e anche per i titoli italiani. Se c’è il prodotto giusto, se c’è un film bello, la gente al cinema ci torna. Sento un gran fermento, bisogna che gli esercenti, i produttori, gli artisti, si diano da fare. Bisogna organizzare eventi nelle sale, la cosa più importante è far capire agli spettatori che chi fa cinema vuole loro. Per ricreare un rapporto di fiducia è necessario dare l’idea di una festa e non far respirare un clima di tristezza».
Che cosa, in questi ultimi anni, ha fatto male al cinema, tanto da far dire al direttore della Mostra di Venezia Alberto Barbera che in Italia si fanno troppi film, spesso brutti?
«Non sono un critico e non mi avventuro sul piano dei giudizi. Anche io penso che si facciano troppi film, il punto è che ormai si è diffusa una formuletta per cui basta girare film a basso costo, darli a una piattaforma, farli stare in sala pochi giorni per prendere i premi governativi, ed ecco che il giochino è fatto. Nessuno chiede niente, nessuno dà i dati, alla fine questa formuletta ha permesso a tanti produttori di mandare avanti le aziende, facendo anche debuttare tanti giovani che magari non erano pronti e che, alla fine, più che debuttare, sono stati buttati e basta, mandati al macello e poi gettati alle ortiche».
C’è stata un’epoca in cui la commedia all’italiana ha raccontato al meglio il nostro Paese. Poi questa capacità si è persa, secondo lei oggi potrebbe essere recuperata?
«Con l’avvento del nuovo governo si può finalmente tornare a fare un cinema più ironico, più sarcastico. C’è stato un ribaltamento politico clamoroso, oggi gli artisti si devono muovere. Nella commedia che sto scrivendo sto raccontando personaggi che non mi sarei mai sognato di mettere in un film di 6 o 7 anni fa».
Per esempio?
«Personaggi che parlano di razzismo senza vergogna, che prima stavano zitti e che oggi vanno in tv facendo affermazioni con grande consapevolezza, sparandole grosse e poi correndo il giorno dopo a fare smentite. Insomma, personaggi da commedia, molto simpatici, anche pericolosi, ma per noi che facciamo questo mestiere sono manna dal cielo. Persone che prima non potevi mettere in scena, erano tutte nascoste dietro la Dc, adesso invece si possono descrivere. In passato c’è stato Moretti che prendeva in giro i radical-chic e abbiamo continuato a farlo tutti, per anni, adesso si può spaziare, tra i Cinquestelle, i Fratelli d’Italia... insomma, c’è un bel parco di giochi a disposizione».
Moretti e Sorrentino hanno fatto film su Berlusconi.
«Sì, ma su tutto ha vinto lui, è stato talmente sorprendente, con i processi, le olgettine, di tutto...».
Il Tff è centrato sul cinema dei giovani talenti. Tra le polemiche del momento c’è quella sul contrasto tra boomers e millenials. Lei come la vive?
«Ho scritto un pezzo, che proporrò anche a teatro, proprio su questo argomento, sul mio essere boomer, perché io lo sono sul serio, nel senso che sono uno convinto che certe cose del passato siano molto migliori di quelle di oggi. Per esempio la musica. Ecco, io so che De Gregori è meglio di Fedez. Su certi temi noi della nostra generazione abbiamo in mano la verità. Non mi si può dire, che ne so... che Franco 126 sia meglio di Lucio Dalla, anche se magari pure lui riempie i teatri. Il livello della musica di oggi è nettamente inferiore, è bene che i ragazzi lo sappiano. Io c’ero a Londra quando Prince ha fatto 8 minuti di intro con la chitarra prima di Purple rain, io c’ero, mi sono messo a piangere, e non mi è più successo in tutta la mia vita».
Insomma, un boomer militante…
«È nato tutto il giorno in cui sono andato da una mia amica sceneggiatrice, la figlia compiva 18 anni e per regalo le aveva chiesto le tette. Ho pensato “prima di parlare e di fare la figura del boomer, devo riflettere”. È chiaro che, per me, le tette non possano essere un regalo, ma ho cercato di vederla in chiave poetica. Mi sono detto che forse la madre, a 18 anni dalla nascita, aveva deciso di regalare alla figlia due cose che non era riuscita a darle. Comunque non ci sono anelli di congiunzione tra le generazioni. Forse l’unico è Gianni Morandi».
In che senso?
«Secondo me Morandi sarebbe capace di correre con un pannello di energia rinnovabile sulla schiena, secondo me potrebbe sparire e ricomparire, anche produrre dei kilowatt e venderli. Ecco il regalo che andrebbe fatto a una ragazza di 18 anni, i kilowatt, non le tette».
C’è qualcosa della sua vita di cui sente la nostalgia?
«Sì, Francesco Nuti. Di tutto quello che ho vissuto non ho nostalgia, solo bei ricordi. Lui, invece, non l’ho potuto vivere fino in fondo, si è fermato tutto quel primo settembre del 2006».