il Fatto Quotidiano, 24 novembre 2022
Ritratto di Italo Bocchino
Prima arriva la cravatta sul petto, poi lui, il ben tornato Trasvolatore. Ora che è ricomparso nel giro della destra di potere, Italo Bocchino, che ha decollato trent’anni fa dal latifondo di Alleanza Nazionale – erano i tempi fondativi di Pinuccio Tatarella, testa fine della nuova destra e giacche altamente stazzonate – e poi lungo l’infelice parabola di Gianfranco Fini, sventatamente maritato Tulliani, ha messo su una arietta da padrone di casa, che esibisce con una certa voluttà, ogni volta che lo invitano nelle tv parlanti, sempre lieto di ascoltarsi: “Per favore non mi interrompa!”. E poi veloce a stendere la tovaglia e predisporre i coperti per illustrare il menu di casa Meloni, destra sociale a chilometro zero, condoni in purezza, Patria sempre al centro-tavola, guai per gli immigrati che sbarcano, guai a fannulloni, e dolci alla crema sovranista per la nascente Nazione di Giorgia: “Oggi l’Europa torna a rispettarci. È un fatto”.
Ce lo eravamo dimenticati per un po’. Ma s’era solo ricoverato nella rimessa aeroportuale del Secolo d’Italia, quotidiano un tempo di carta, con relativi contributi, oggi solo da rassegna stampa serale, ma con buona prospettiva di rifiorire nelle edicole, visto che molti dei suoi antichi redattori stanno in cima ai Palazzi e sarà loro il bello e il cattivo tempo futuro. Destino che ci tocca indossare già dalla prima legge di Bilancio sguinzagliata a caccia dei poveri, che per eterogenesi dei fini è il maggior lascito di Enrico Letta, scienziato della politica più malinconica di sempre.
Bocchino di lasciti ne ha sorvolati parecchi, come si conviene a chi per volere del padre, segretario di sezione missina, nonché impiegato delle Poste a Napoli e Perugia, indossa il nome dell’ardito Italo Balbo per eguagliarne non tanto le ore di volo quanto la perizia negli atterraggi, ogni volta che la contraerea della politica, delle inchieste giudiziarie e dei pasticci del cuore, hanno minacciato le sue ali.
Come tanti eroi della Commedia umana, Italo, nato nel 1967, viene dall’ombra piccolo borghese dei rancori e dei valori.
Imbocca il suo ascensore sociale per volontà e puntiglio. La serratura è la politica nel Fronte della gioventù. L’incontro della vita a vent’anni, congresso missino a Genova: “Ci arrivo all’alba in treno e davanti all’albergo, riconosco Tatarella che alle 6:30 sta leggendo il giornale seduto sul marciapiede”.
Si presenta, lo omaggia: è decollo a prima vista. Tatarella che vuole traghettare la fiamma missina “verso la legittimità politica”, lo ingaggia come addetto stampa. Italo si scrolla la periferia di dosso, entra nella Roma dei Palazzi: tutto quello che vede brilla e gli piace. Con Tatarella beve l’acqua di Fiuggi che battezza Alleanza Nazionale. L’anno dopo entra alla Camera da deputato. Incontra, corteggia e sposa Gabriella Buontempo, dinastia costruttori, padre con aereo privato, lei con la passione del cinema. Lui passa dal monolocale con vista mura vaticane, agli affreschi di Palazzo Taverna. Festeggia la sua metamorfosi sociale con vestiti sempre su misura e cravatte luminose. Mette su famiglia e qualche lampo di potere. Peccato una decina di anni dopo incappi negli occhi spalancati di Mara Carfagna, con scandalo al seguito, divorzio consensuale e scuse in tv, davanti ai buoni uffici del parroco Fabio Fazio.
Un po’ prima delle cronache rosa, Italo si segnala in quelle giudiziarie. Mentre è membro agguerrito della commissione Telekom Serbia – che per la gioia del governo berlusconiano indaga su fantomatiche tangenti (mai) pagate a Romano Prodi, Lamberto Dini e Piero Fassino – si scopre che 2,4 miliardi di lire sono sgocciolati da una finanziaria di San Marino nelle casse assetate del quotidiano Roma di cui Bocchino è diventato editore. Soldi legittimi, diranno i giudici, ma provenienti dalle provvigioni di un tale conte Gianni Vitali che aveva benedetto proprio l’affare Telekom Serbia. Vedi i casi della vita.
L’altro vuoto d’aria giudiziario (per traffico d’influenze illecite) lo affronta spalla a spalla con il suo amico Alfredo Romeo, l’elegantone casertano della Global Service, imprese di pulizia, alberghi, immobili, giornali, 20 mila dipendenti, processi per tangenti a politici e faccendieri in cambio di appalti, qualche condanna, qualche prescrizione, dagli anni Novanta fino allo scandalo Consip, il più recente, quello dove compare il babbo di Matteo Renzi, il mostro.
Bocchino, che di Romeo è consigliere e consulente, atterra sempre nel morbido: “Sono antropologicamente distante da ogni atto illecito”. E poi: “La mia vocazione è la politica e la Camera il mio convento”. Preghiamo.
Morto per malattia il suo mentore, la nuova rotta è quella al seguito di Gianfranco Fini, all’epoca presidente della Camera, stagione di guerriglia contro “Silvio padrone”, al grido di “Siamo una coalizione, non un’azienda!”. Memorabile il dito di Fini in diretta tv: “Che fai mi cacci?”, 22 aprile 2010. E poi scissione, quando B. lo caccia davvero, insieme con 34 deputati guidati da Bocchino, progetto di destra liberale, sigla di Futuro e Libertà, naufragata a stretto giro, dentro i 45 metri quadri della famosa casa di Montecarlo, altra storia nerissima di pestaggio editorial-televisivo. Che Fini paga con depressione e abbandono della politica.
Mentre a punire Italo, ci pensa Sabina Began, devota arcoriana, che lo irretisce con una sventolata di ciglia nel privé del ristorante Assunta Madre, per poi masticarselo in pubblico: “Siccome che ’baiava come un cane contro Silvio” racconterà a Belve nel suo divertente italo-bosniaco, lo punisce con gogna mediatica (“usavamo scorta nei weekend, proibito, no?”) e rivelazione definitiva: “Non è a mia altezza spirituale”.
Italo supera pure il colpo in volo dell’Ape regina. Non quello degli elettori che al giro di giostra del 2013 gli negano la quinta legislatura. “Da allora sono tornato a lavorare”, dice ai biografi con rivelazione involontaria sui suoi 17 anni di Transatlantico. Oggi, quando non difende Giorgia, fa il direttore editoriale del Secolo; il consulente per il solito Romeo; l’insegnante di Public Speaking, che sarebbe l’arte di parlare in pubblico.
Quando Tatarella lo convocò per arruolarlo, gli disse: “Fare il mio addetto stampa è facilissimo, basta tacere”. Da allora ha fatto il contrario e vola ancora.