il Fatto Quotidiano, 24 novembre 2022
Jacob Riis e il Natale dei poveri
Il presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt lo ringraziò così: “Gli innumerevoli mali che si aggirano negli slums (baraccopoli, ndr) e hanno la loro dimora permanente nei caseggiati popolari, hanno incontrato in lui l’avversario più formidabile che abbiano mai trovato”. Jacob Riis, il leggendario reporter, tra i padri della fotografia sociale, era stato “il cittadino più utile di New York”. Anche grazie alle sue capacità narrative, oltre che artistiche, perlopiù ignorate dalle nostre parti.
È il momento quindi di leggere Natale nel Lower East Side, una raccolta di suoi racconti inediti in Italia, in uscita per Mattioli 1885 il 2 dicembre: scoprirete, accanto al fotografo, uno scrittore altrettanto straordinario. Riis vi mette a fuoco la sua seconda pelle espressiva, indissolubile dall’arte e dai contenuti che gli hanno dato gloria. Ricomponendo i frammenti di una realtà disturbante, che non smette di indignare.
Emigrato d’origine danese, sbarcato ventenne nella Grande Mela, inizi stentati come la massa di diseredati che approdava nel Nuovo Mondo, prima di diventare l’occhio di quei quartieri disumani aveva fatto il cronista di nera. E lì scattò la scintilla. Quei ricettacoli di degrado, crimini e malattie, quegli archetipi di enclave etnica, quei tuguri dove non filtravano aria e raggi del sole andavano smantellati. Ci vivevano centinaia di migliaia di disperati, era il luogo più densamente popolato del pianeta, eppure la gente dabbene delle avenue si voltava dall’altro lato. Ma dal 1888 in poi le sue inchieste fotogiornalistiche cominciarono a frustare le coscienze, spianando la strada ai piani di ristrutturazione.
Natale nel Lower East Side è una collezione di scritti paradossalmente natalizi, nel senso di Dickens e poche altre stelle della letteratura. Questa volta il fotografo usa la penna come obiettivo, ma la sostanza non cambia. Scrive sempre con la luce del suo animo riformatore, in prima linea per gli invisibili moltiplicatisi all’ombra della grande rivoluzione industriale e tecnologica che stava rivoluzionando l’America alla fine dell’Ottocento. L’ambientazione è nel cuore di tenebra di Manhattan e, per assurdo, nella stagione radiosa per eccellenza, “quando tutto il mondo, incurante, gioisce”. In mezzo e da contrappunto alla folla festosa del periodo, con i grandi magazzini presi d’assalto.
Narratore partecipe e dalla forte tensione etica, Riis imbastisce una jam session, un diorama, un lungo piano sequenza. In fondo Santa Claus esiste anche per loro: per i bambini senza un penny in tasca brutalizzati dai padri ubriachi e per il turbine di mendicanti e senzatetto, ciabattini e tiratori di carretti, stracciaioli e venditori ambulanti, vagabondi e strilloni di giornali, lavandaie, cinesi di Chinatown e italiani di Little Italy. Nessuno di loro era stato redento dalle primissime strutture caritatevoli quando non erano finiti, per ulteriore malasorte, negli ospizi per indigenti o in prigione. Uomini e donne dal cuore indurito, costretti a rimirare peggio del calviniano Marcovaldo “le cataste di aringhe affumicate, il formaggio color dell’oro, la pancetta affettata e i bei prosciutti grassi, le file di bottiglie e di barattoli dalle forme più strane sugli scaffali, che contenevano chissà quali bontà”. È la vigilia di Natale anche per questa umanità brulicante dei marciapiedi e dei banchi dei pegni, dei caseggiati, vittime sacrificali della società del benessere in costruzione. È la vigilia di Natale nei seminterrati e nelle baracche con le tavole scheggiate, i cumuli di immondizia, le sedie senza piedi, i topi che sguazzano, gli intonaci anneriti e a brandelli, le finestre murate o senza vetri, le brodaglie maleodoranti, le scale scricchiolanti, i mucchi di stracci, le bambole e i cavallucci di pezza da due soldi, le retate di polizia. Anzi, è forse più vigilia di Natale per loro, ché “nel decoro compassato e altezzoso delle strade di arenaria dei quartieri alti se ne può trovare appena un accenno. Nelle case della povera gente fiorisce sulle scalette esterne e sulle scale antincendio”. Basta in fondo “un singolo rametto di agrifoglio appeso alla lampada”, una sagoma d’alberello per riaccenderne l’afflato. Certi slanci di generosità inaudita avvengono più sovente tra gli oppressi e i sommersi: non è vero, piccolo Nitsby? Intanto fuori cade la neve e la mattina del 25 dicembre tutta la città risorgerà “pura e bianca”.
Santa Claus non esiste? Sarebbe come negare la speranza di un futuro migliore. Ieri come oggi. “Non permettere che qualcuno o qualcosa lo cancelli. A quel punto il resto non ha più importanza”.