La Stampa, 24 novembre 2022
Da "Dieci anni di sfide. Scritti e discorsi" di Mario Draghi (Treccani)
[Dall’intervento tenuto da Draghi al Parlamento europeo di Strasburgo il 3 maggio 2022].
La guerra in Ucraina pone l’Unione Europea davanti a una delle più gravi crisi della sua storia. Una crisi che è insieme umanitaria, securitaria, energetica, economica. E che avviene mentre i nostri paesi sono ancora alle prese con le conseguenze della maggiore emergenza sanitaria degli ultimi cento anni.
La risposta europea alla pandemia è stata unitaria, coraggiosa, efficace. La ricerca scientifica ci ha consegnato, con una rapidità senza precedenti, vaccini capaci di frenare il contagio, di abbattere in modo drastico la severità della malattia. Abbiamo organizzato la più imponente campagna di vaccinazione della storia recente, che ci ha permesso di salvare vite, riportare i ragazzi e le ragazze a scuola, far ripartire l’economia.
Abbiamo approvato il Next Generation EU, il primo grande progetto di ricostruzione europea, finanziato con il contributo di tutti, per venire incontro alle esigenze di ciascuno.
La stessa prontezza e determinazione, lo stesso spirito di solidarietà, ci devono ora guidare nelle sfide che abbiamo davanti.
Le istituzioni che i nostri predecessori hanno costruito negli scorsi decenni hanno servito bene i cittadini europei, ma sono inadeguate per la realtà che ci si manifesta oggi. La pandemia e la guerra hanno chiamato le istituzioni europee a responsabilità mai assunte fino a ora. Il quadro geopolitico è in rapida e profonda trasformazione. Dobbiamo muoverci, muoverci con la massima celerità. E dobbiamo assicurarci che la gestione delle crisi che viviamo non ci porti al punto di partenza, ma permetta una transizione verso un modello economico e sociale più giusto, più sostenibile.
Abbiamo bisogno non solo di un federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso – dall’economia all’energia, alla sicurezza –, ma anche di un federalismo ideale: mai come ora i nostri valori europei di pace, di solidarietà, di umanità hanno bisogno di essere difesi. E mai come ora questa difesa è per i singoli Stati difficile, e diventerà sempre più difficile. Abbiamo bisogno non solo di un federalismo pragmatico ma di un federalismo ideale. Se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei Trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia. Se dagli eventi tragici di questi anni sapremo trarre la forza di fare un passo avanti, se sapremo immaginare un funzionamento più efficiente delle istituzioni europee che permetta di trovare soluzioni tempestive ai problemi dei cittadini, allora potremo consegnare loro un’Europa in cui potranno riconoscersi con orgoglio.
L’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia ha rimesso in discussione la più grande conquista dell’Unione Europea: la pace nel nostro continente. Una pace basata sul rispetto dei confini territoriali, dello stato di diritto, della sovranità democratica; una pace basata sull’utilizzo della diplomazia come mezzo di risoluzione delle crisi tra Stati; una pace basata sul rispetto dei diritti umani, oltraggiati a Mariupol, a Bucha, e in tutti i luoghi in cui si è scatenata la violenza dell’esercito russo nei confronti di civili inermi.
Dobbiamo sostenere l’Ucraina, il suo governo e il suo popolo, come il presidente Zelensky ha chiesto e continua a chiedere di fare.
In una guerra di aggressione non può esistere alcuna equivalenza tra chi invade e chi resiste. Vogliamo che l’Ucraina resti un paese libero, democratico, sovrano. Proteggere l’Ucraina vuol dire proteggere noi stessi, vuol dire proteggere il progetto di sicurezza e democrazia che abbiamo costruito insieme negli ultimi settant’anni. Aiutare l’Ucraina vuol dire soprattutto lavorare per la pace.
La nostra priorità è raggiungere quanto prima un cessate il fuoco, per salvare vite e consentire quegli interventi umanitari a favore dei civili che oggi sono, restano, ancora molto difficili. Una tregua darebbe anche nuovo slancio ai negoziati, che finora non hanno raggiunto i risultati sperati. L’Europa può e deve avere un ruolo centrale nel favorire il dialogo. Dobbiamo farlo per via della nostra geografia, che ci colloca accanto a questa guerra, e dunque in prima linea nell’affrontare tutte le sue possibili conseguenze. Dobbiamo farlo per via della nostra storia, che ci ha mostrato capaci di costruire una pace stabile e duratura, anche dopo conflitti sanguinosi.
L’Italia, come paese fondante dell’Unione Europea, come paese che crede profondamente nella pace, è pronta a impegnarsi in prima linea per raggiungere una soluzione diplomatica.
Già oggi la guerra sta avendo un impatto profondo sui nostri paesi. (...)
Ciascuna di queste crisi richiederebbe una reazione forte da parte dell’Unione Europea. La loro somma ci impone un’accelerazione decisa nel processo di integrazione. Nei prossimi mesi dobbiamo mostrare ai cittadini europei che siamo in grado di guidare un’Europa all’altezza dei suoi valori, della sua storia, del suo ruolo nel mondo. Un’Europa più forte, coesa, sovrana, capace di prendere il futuro nelle proprie mani, come disse qualche tempo fa la cancelliera Merkel.
Negli ultimi 75 anni, l’integrazione europea è stata spesso la migliore risposta – pratica e ideale – alle sfide comuni. I padri fondatori dell’Unione Europea intuirono che lo sviluppo economico e il progresso sociale erano difficili da realizzare soltanto tramite le risorse dei singoli Stati nazionali. Individuarono nel modello sovrannazionale l’unico capace di unire gli interessi dei popoli europei e di esercitare influenza su eventi che altrimenti sarebbero stati fuori dalla loro portata. L’integrazione ha seguito un processo graduale, fatto di crisi e rilanci, di successi ottenuti malgrado divisioni interne e, talvolta, di fronte a resistenze esterne.
Un risultato costruito «pezzo per pezzo, settore per settore», per citare Robert Schuman, poiché l’Unione Europea non poteva nascere «di getto, come una città ideale»