la Repubblica, 23 novembre 2022
Passioni e battaglie di Bobo Maroni
Allora, son passati trent’anni, era solo un parlamentare di quella Lega bossiana che aveva fatto il botto alle politiche del ’92. Ma del classico cliché lombard- in sostanza:: secessione contro i “terroni” e niente tasse - Bobo Maroni aveva ben poco. Intanto per i suoi trascorsi politici, in gioventù aveva militato nella nuova sinistra, e adesso stava già lavorando per fare l’ assessore nella giunta arcobaleno di Varese, con i postcomunisti nella maggioranza, come avverrà nel ’93. Poi la passione per la musica, genere Soul, non molto frequentato dai popolani ruspanti che affollavano le adunate del pirotenico Umberto. Musica praticata: tastierista di organo Hammond nella band Distretto 51, messa in piedi con amici varesini.
E fu quella sera che, davanti un gin tonic e a una cocacola (per lui), parlai per la prima volta con il politico che avrei poi seguito da vicino per tantissimi anni. Impatto un po’ cosi’: «E così tu scrivi per Repubblica , vabbe’…». Replica: «Se è per questo sono anche interista». Controreplica (ma con sorriso): «Non c’è limite al peggio». Insomma Il ghiaccio era rotto. Poi un collega, suo amico, fece una profezia: «Hai appena parlato con il prossimo ministro degli Interni».
Risate, anche sue. Ma la profezia si avvera. Dopo la vittoria di Berlusconi nel ’94, a 39 anni Bobo va al Viminale. Ma è proprio in quei mesi che comincia a scricchiolare qualcosa nel rapporto con Bossi, qualcosa che si riproporrà parecchi anni dopo. Già in estate Il Senatur medita di far cadere, “il mafioso di Arcore”, con il concorso di D’Alema e Buttiglione. Maroni è contrario e lo va a dire al congresso della Lega, nel catino del Palatrussardi che ribolle di fischi :”Vai a suonare il piffero“ . Il colpo è duro, ma lui alla politica non vuole rinunciare. E neppure alla Lega. Nel ’96 ritorna, con la rielezione in Parlamento. In seguito farà ancora il ministro, Lavoro e di nuovoInterni. Ed è dal Viminale che comincia la battaglia della vita. Prima per prendersi il partito (poi sarà la volta del Pirellone), alla faccia dei pretoriani che nel 2004, quando Bossi si ammala, stendono un cordone sanitario attorno al Capo e isolano ogni possibile erede al trono.
Ma Bobo non demorde, convinto com’è che il regicidio sia necessario e urgente. Per questo gli vieteranno perfino di partecipare alle manifestazioni di partito. «Mi viene da vomitare”, lo sfogo di Maroni al telefono, quella sera. Ma intanto prepara la riscossa, con l’aiuto Salvini, allora solo vicesegretario lombardo. E arriverà la notte bergamasca delle scope, ramazze agitate contro gli scandali interni, diamanti, false laureee,nepotismi intollerabili. La guerra finisce ad Assago con un congresso dove Bossi in lacrime deve consegnargli lo scettro. Ma non è roba per lui, Bobo, fare il segretario. Si vede, e anche lo confessa apertamente: «Nelle mie corde c’è l’amministrazione della cosa pubblica, non il partito ». Vuole fare il governatore della sua Lombardia, poi la Lega può essere ceduta. E la scelta ricade su Salvini. Ma anche governare il Pirellone, che è «il sogno di ogni federalista», a un certo punto deve venirgli un po’ a noia. E con largo anticipo sulla scadenza annuncia che non si ripresenterà per il secondo mandato.
Gli screzi con Salvini, il successore che manda al macero il nordismo e strizza l’occhio alla destra estrema, sono già cominciati, ed è in questa terza vita, libero da cariche e obblighi, che Bobo si prende le sue soddisfazioni. Dice che in Francia voterebbe per Macron e non per madame Le Pen; dalla tribuna del Foglio ,fa scoccare frecce acuminate contro la deriva nazionalista del suo partito; si prodiga perfino in elogi sperticati alla ministra Lamorgese, che Salvini vede come il fumo negli occhi… «Si, mi diverto molto», si lascia andare al telefono, e qualche volta a pranzo, prima del lookdown.
Quando arriva la malattia - scoperta per caso nel gennaio 2021 dopo un incidente banale in casa - sembra far finta di niente, dice sempre che sta bene. Ma quando rinuncia a correre per fare il sindaco di Varese, ed era già in pista, si capisce che le cose si stanno mettendo male. Le telefonate dei big del partito si fanno sempre più rare. Solo messaggi: l’ultimo con la locandina del suo thriller politico, Il Viminale esploderà , scritto con Carlo Brambilla. Un altro dei vecchi cronisti che seguendolo gli è diventato amico.