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 2022  novembre 21 Lunedì calendario

Intervista a Giancarlo Giannini

Sulla terrazza del Teatro Eliseo di Roma, Giancarlo Giannini fuma sigarette sottili e sorride. Giacca scozzese verde e blu da gentiluomo inglese, la cravatta regimental («Portare la cravatta è un fatto di rispetto: mi sono guardato intorno, sono l’unico»), nella serie Il grande giocodi Fabio Resinaro e Nico Marzano, prodotta da Eliseo Entertainment, otto episodi su Sky e in streaming su NOW, interpreta un procuratore di calcio, il vecchio leone Dino De Gregorio. Re del calciomercato, padre-padrone (dà la linea ai figli, Elena Radonicich e Lorenzo Cervasio, è in concorrenza con l’ex genero Francesco Montanari) e fa i conti con una progressiva demenza senile. «Ha un nome complicato, la demenza a corpi di Lewy, a momenti è lucido, in altri non controlla il corpo. Da attore è stata la cosa più complessa. Anche se vista l’età non è stato così difficile… Per il resto, di calcio non so nulla».

Non si è ispirato a nessuno?
«A Milano da Giannino , ristorante frequentato da calciatori e procuratori, oltre che da Silvio Berlusconi, una sera ho parlato con un paio di loro. Gli ho detto che non capisco nulla di quello che fanno. Mi hanno risposto: neanche noi capiamo molto. Allora ho inventato.
Per me Il grande gioco è soprattutto una tragedia familiare».
A febbraio sarà a Los Angeles per la cerimonia della stella sulla Walk of fame.
«Ho avuto una nomination all’Oscar perPasqualino sette bellezze , Lina Wertmuller era un genio, le devo tutto. La stella è un Oscar per sempre: per tutti i film, non per uno».
In Italia pochi riconoscimenti?
«Una volta ho detto che a Venezia non mi hanno mai dato neanche un gatto nero, ha fatto scalpore. Ma è la verità. Se mi chiede il perché, non lo so. Mi sembra di aver fatto qualcosa nella vita. Un ministro — non dico chi — una volta mi ha proposto di fare il direttore della Mostra, ma faccio l’attore, non scelgo i film. Però ho detto chi lo doveva fare».
A parte questa serie e “Romanzo famigliare” di Francesca Archibugi, non si vede spesso in tv. Come mai?
«Ho fatto i primi sceneggiati, David Copperfield , E le stelle stanno a guardare . Oggi non so, dovrebbe chiederlo a chi fa le serie. Mi chiedono di fare il papa, ma posso fare sempre i papi? In tv lavoro bene con Alberto Angela, a Milano girerò una puntata dedicata alla città, faccio Alessandro Manzoni».
Cosa guarda in tv?
«Guardo soprattutto i documentari sugli animali. Ci vuole pazienza, devi riprendere chi si nasconde. Come quello che succede sul set».
Entrare e uscire dai personaggi è un’idiozia?
«Certo. Ma dove entri, dove esci? Devi fingere, è la cosa più bella. Io l’hosempre fatto e funziona. In inglese recitare si dice to play e in francese jouer, giochiamo. Non diventi il personaggio. Ogni film è un lavoro della fantasia e dell’intelligenza. Il mio maestro Orazio Costa diceva che l’attore è come un’arancia. Per Jean Louis Barrault, il più grande mimo e interprete francese che ha fatto Les enfants du paradis “è colui che col suo movimento incide uno spazio e con la voce un silenzio”».
Era il suo destino?
«No. Sono un perito elettronico.
Dovevo andare in Brasile per fare il ricercatore, nascevano i primi satelliti».
Invece è diventato Giancarlo Giannini.
«Vivevo a Napoli, non sono napoletano ma è come se lo fossi.
Mario Ciampi, impiegato innamorato del teatro, che ha inventato molti attori, mi disse: “Ti preparo io”. Per me l’Accademia era quella militare di Modena. Partii per Roma, c’erano 900 aspiranti alla prova di ammissione per l’Accademia di artedrammatica. Fui l’ultimo dell’ultimo giorno».
Teatro, cinema, tv, doppiaggio: che ha capito di sé recitando?
«Tante cose. A educare il corpo e la voce. Sali sul palco e ti cachi sotto, non devi mai farlo vedere. Capisci un attore quando entra in scena».
Chi ricorda tra le star?
«Marlon Brando. Gli chiesi: “Il tuo segreto?”. “Non leggere il copione”. Si scriveva le battute sulle mani ».
Ha compiuto da poco 80 anni, che rapporto ha con l’età?
«Non ho paura della morte, mi incuriosisce ma vorrei vivere 700 anni per leggere quello che mi interessa. L’età invece mi dà fastidio, arrivano gli acciacchi. Non voglio sapere l’età di nessuno, neanche la mia. Dico: sono del 1942 fate i calcoli».
Il cinema ha un futuro?
«Mi piace vedere i film del passato, ma il cinema è morto. Lo diceva già Fellini quando girava E la nave va :“Giancarlino, il cinema è morto”, si presentò all’alba con la stagnola tra le mani: ho il parmigiano appena fatto».
Gli incontri della vita?
«A parte Lina, Spielberg: mi voleva perI predatori dell’arca perduta , non sono riuscito a incastraregli impegni. Conservo la sua bella lettera. Il cinema italiano ha ispirato il mondo.
Guardo E.T.ero incantato. Ssorride: “Ho pensato aMiracolo a Milano ”.
Abbracciavo Monicelli ogni volta che lo vedevo: “Sei il Billy Wilder italiano”. L’ultima volta aveva una grande barba bianca. Mi guarda: “È iniziata l’era glaciale”» .