La Stampa, 21 novembre 2022
Chi è Giandavide De Pau
Dice la mamma di Giandavide De Pau che la cocaina era diventata la sua perdizione. Che da giovane era un atleta e ora è un relitto umano. Infine che era un debole, remissivo persino nei confronti della moglie, che lei, da brava suocera, aveva subito inquadrato come la donna sbagliata per il figlio. Forse la parabola dell’assassino, la vertigine che l’ha portato a diventare un serial killer di prostitute, è davvero tutta qui.
Dieci anni fa, Giandavide detto «il Biondo» sembrava essere un quarantenne malavitoso in ascesa. Faceva da autista al boss Michele Senese e sognava di avere un ruolo sempre maggiore nel controllo dello spaccio. Il suo gruppo aveva messo le mani su alcune piazze di spaccio nella zona del Tiburtino, San Basilio e Tivoli. Giandavide si vedeva potente e riverito, ricco al punto di poter andare nei ristoranti di lusso ogni volta che voleva. E naturalmente, per arrivarci, era pronto all’uso della violenza più estrema. E non erano millanterie. Di lui dicevano: «Giandavide spinge cocaina a Roma». Era uno tra i più fedeli a Michele Senese, tanto che gli pagò le spese legali.
Tutto cambia dopo che Senese finisce in carcere, nel 2014, quando prova a subentrargli il figlio Vincenzo, e però vari gruppi criminali gli si rivoltano contro. C’è un’intercettazione di tal Rolando Liguori che dice: «Un conto quando ci sta Michele, mo’ che non ci sta qui diventa terra di nessuno, perché con la fame che c’è... Per me, sai chi vengono avanti: tutti, gli albanesi, questi qua».
È la storia della criminalità a Roma. Un eterno salire e scendere, gruppi che si alleano e si frantumano, guerre improvvise si accendono. Commentava un altro del clan, Davide De Gregori: «Tanti so’ cattivi».
Le fortune del clan Senese, insomma, dove Giandavide De Pau aveva un così grande ruolo al punto da tenere i contatti con Massimo Carminati per conto del boss, si ridimensionano velocemente. Uno di loro che alza la testa è Fabrizio «Diabolik» Piscitelli e finisce ammazzato nel 2019.
Le cose gli vanno sempre peggio. Nel dicembre 2020, De Pau finisce in carcere con altri 29 perché si sono concluse le indagini sul clan. Esce di cella nell’aprile scorso. Da quel momento sembra che sia un altro uomo. Si divide tra l’appartamento in affitto alla Balduina e un improbabile allevamento di asini in Abruzzo. Risulta essere in cura presso un Sert per disturbi mentali. Si imbottisce di psicofarmaci ma anche di cocaina. Da quel che raccontano i familiari, è fuori controllo.
La moglie lo ha lasciato e lui frequenta prostitute in maniera compulsiva. La cronologia degli ultimi giorni lo vede ospite di una cubana dalle parti della stazione Termini, poi ha l’appuntamento con le due povere cinesi, infine raggiunge la escort colombiana che ucciderà con lo stesso coltello.
Lui dice ora di ricordare poco o nulla, e da un certo momento è solo un lungo black-out. Rammenta tanto sangue a casa delle due cinesi. Nulla di quanto sarebbe accaduto dalla colombiana.
Lo stesso magistrato non crede alla premeditazione. Resta confuso il movente che ha scatenato una rabbia così cieca. Forse è puro odio contro il mondo e contro le donne in particolare. Sognava di raggiungere il cielo con una mano, lo status di boss, il tavolo da “Assunta Madre”, il ristorante dei Vip. Invece no. La cocaina gli avrebbe dovuto gonfiare le tasche. Era diventato lui un tossicodipendente come quelli che disprezzava tanto.