La Stampa, 21 novembre 2022
Ritratto di Stefano Bonaccini
L’essenza del personaggio sta nel nomignolo che gli ha pennellato Matteo Renzi sette anni fa: «Sei il Bruce Willis di Campogalliano!». Stefano Bonaccini fa politica da 30 anni e in quel soprannome è racchiusa l’energia che, dal suo paesino natale nel Modenese, lo ha proiettato via via sempre più su, sino a candidarsi alla guida del Pd. Ma quella stessa energia – ecco il punto nevralgico sottaciuto – da settimane incute grandissima diffidenza tra i capi-corrente, i notabili del Pd, che oramai da anni impongono alla guida del partito un federatore, un inter pares che rispetti i patti di sindacato. Come Nicola Zingaretti e come Enrico Letta. Ora i capi-corrente sono preoccupati dall’idea che Bonaccini diventi un segretario-leader, lui lo sa e in privato dice qualcosa che non ripeterebbe in pubblico: «Le correnti sono contro di me. Per ora…». E non si spinge neppure a dire che per il momento gran parte della nomenclatura – da Letta sino a Franceschini – è pronta ad appoggiare Elly Schlein nella speranza di mantenere quote di potere.
Ma per capire dove può arrivare la sfida di Stefano Bonaccini, bisogna partire da lui. Intanto da un segno distintivo, originalissimo in un partito “imborghesito” come il Pd: Bonaccini è un figlio del popolo. A differenza della classe dirigente della sinistra degli ultimi 50 anni: «Mia madre, orfana, era casalinga e ogni tanto lavorava confezionando maglieria. Mio padre era un camionista, fondatore di una delle prime cooperative di autotrasportatori». I Bonaccini sono di Campogalliano, piana modenese: qui Stefano è nato nel giorno di Capodanno del 1967 e qui si è formato politicamente: la madre, sin da bambino, lo portava alle feste dell’Unità, appuntamenti rituali che nei decenni successivi sono diventati per lui un training politico-sentimental-gastrononico: «Mi son fatto il fegato come quello di un’oca a forza di mangiare nelle sedi Arci, nelle osterie, nelle mense, nei Circoli…». Figlio del popolo, delle Feste dell’Unità e anche figlio del Partito, quello “vero”. A 23 anni Stefano si candida nelle liste del Pci nel suo paese e da allora ha inizio il suo cursus honorum. Dal 2009 al 2015 segretario regionale del Pd, nel 2013 è coordinatore della campagna nazionale delle primarie 2013 per Matteo Renzi. Un incarico che per qualcuno è una colpa, anche se in quel Pd, quasi tutti erano renziani. Il 23 novembre 2014 Bonaccini è eletto presidente della Regione Emilia-Romagna col 49% dei voti e nel 2020 fa il bis, col 51,4%.
E negli anni alla guida della Regione prende forma la sua identità e lui la sintetizza così: «Il Pd ha il dovere di essere il partito di tutti i lavori. In questi anni la sinistra ha regalato alla destra milioni di partite Iva, di liberi professionisti, di lavoratori autonomi, spesso ragazzi giovani che faticano ad arrivare a fine mese». Bonaccini faticherà ad uscire dall’eden Emilia-Romagna? Lui, perfetta reincarnazione del “comunista emiliano”, rischia di inverare la “maledizione” di Palmiro Togliatti sugli emiliani buoni amministratori ma inadatti al partito?
La sua idea di sviluppo è diversa da quella della sinistra di Andrea Orlando e di Peppe Provenzano e del Letta segretario: «Dobbiamo essere anche il partito della crescita, consapevole che senza impresa non c’è lavoro». Dell’emiliano che viene dalla provincia, Bonaccini coltiva un fideistico rispetto per le “regole” dell’immagine e due anni fa si è imposto un curiosissimo cambio di immagine. Gli hanno detto: «Sei troppo “normale, troppo funzionario di partito"». E lui ha iniziato a presentarsi in pubblico con la barba hipster curata, i Rayban chiari a goccia, giacche avvitate e pantaloni con il risvoltino. E il fisico irrobustito da un’ora di palestra al giorno.
Ma da ieri i ritocchi al look non basteranno più. L’obiettivo di Bonaccini è prendere in mano il partito, con un’idea di leadership diversa da quella degli ultimi segretari: «La leadership è decisiva. I sogni degli elettori sono in qualche modo incarnati da un leader. Noi a sinistra dobbiamo avere una leadership non autoritaria ma legata a un progetto di società. Evitando, dall’opposizione di parlare sempre degli altri, ma parlando di ciò che vogliamo noi». E qui arriva il punto. Lo spiega bene un ex parlamentare dell’Ulivo, che è stato presidente della Regione Calabria, Gigi Meduri: «La verità? I capicorrente temono che Bonaccini sia un nuovo Renzi: non solo e non tanto nella linea politica ma nella capacità di gestire e guidare il partito». Bonaccini si schermisce così: «Io sono un mediano, e diffido dei grandi funamboli, spesso s’incartano…».