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 2022  novembre 21 Lunedì calendario

Il ritorno degli Jihadisti

Nel marzo 2019 la coalizione internazionale e le Forze democratiche siriane (SDF) avevano annunciato la clamorosa sconfitta dello Stato Islamico in Siria e in Iraq. Eppure, nel nord-est della Siria, a Raqqa e a Deir el-Zor, gruppi di terroristi dell’Isis continuano ancora oggi a minacciare la popolazione e a seminare il terrore. E la presenza dell’organizzazione terroristica non si limita all’apparato di polizia islamico noto come Hisba. Muhammad al-Sayed, proprietario di un negozio di alimentari a Dhiban, spiega al telefono con Mediapart che le operazioni militari sono in netto aumento nella regione di Deir el-Zor: “La nostra vita non è molto diversa da quella che avevamo quando eravamo sotto il controllo dell’Isis. Capita a volte di vedere i loro miliziani nelle strade. Non cercano neanche di nascondersi. Due tipi di persone vivono qui: noi, che temiamo l’Isis e viviamo sotto la loro minaccia, e gli altri, che fanno parte del gruppo terroristico”.
A fine settembre “Abu al-Yazid al-Muhajir” ha preso il comando delle operazioni militari dello Stato Islamico in Siria. Tra il 2015 e il 2019 Abu al-Yazid al-Muhajir aveva ricoperto diversi posti di responsabilità a Raqqa e a Deir el-Zor, anche grazie all’esperienza acquisita lavorando con lo Stato Islamico nel suo paese d’origine, l’Iraq. Con il nuovo leader, dalla fine di settembre 2022, l’Isis ha perpetrato più di 37 attacchi a Deir el-Zor e a Raqqa, principalmente contro i combattenti delle SDF, le pattuglie del regime di Bashar al-Assad e contro dei civili. Abu al-Yazid al-Muhajir era nel gruppo di miliziani riuscito a fuggire dal carcere di Al-Sina’a durante l’attacco lanciato dallo Stato Islamico nel gennaio 2022. Era stato arrestato dalle SDF a Baghuz, l’ultima roccaforte della organizzazione terroristica, nel marzo 2019. Ha poi raggiunto la sua posizione attuale seguendo le rotte di contrabbando nel deserto di Raqqa (210 km a est della prigione di Al-Sina’a). Nella regione si sono intensificati anche i raid delle Forze democratiche siriane, appoggiate dalla coalizione internazionale, soprattutto truppe americane, dispiegate in diverse basi. La più importante è la base di Al-Omar, presso Deir el-Zor. Per chi come Ahmed Yassin vive nel villaggio di Al-Baydar, non lontano da Raqqa, il suono degli aerei della coalizione dopo la mezzanotte è il segnale dell’inizio dei raid. Ahmed racconta che nella notte del 20 settembre gli abitanti di Al-Baydar sono stati svegliati dal rumore degli spari, dei veicoli dell’unità antiterrorismo delle SDF, nota come “HAT”, e dagli elicotteri delle forze della coalizione internazionale. Il loro bersaglio era la casa di Muhammad al-Shalash: “Quando abbiamo sentito gli spari, siamo corsi fuori, ma gli agenti delle SDF ci hanno puntato i fucili contro, minacciando di sparare se ci fossimo avvicinati. Che potevamo fare? Siamo rientrati a casa spaventati, aspettando che il raid finisse”. Ahmed spiega che Muhammad al-Shalash, la persona bersaglio del raid, era arrivato da poco a Al-Baydar. Con i tre figli teneva un allevamento di pecore e, secondo lui, non si era unito a nessuna fazione: “Non sappiamo perché la sua casa sia stata perquisita. Ma un tale dispiegamento militare può solo significare che era accusato di terrorismo”. Il giorno dopo, Ahmed ha saputo che Muhammad al-Shalash e il figlio di 14 anni, Ebadi, erano rimasti uccisi nel raid. L’altro figlio, Hajji, era stato arrestato. Mediapart ha contattato la coalizione internazionale per ottenere informazioni sulle circostanze del raid e le vittime civili di queste operazioni militari, senza ricevere alcuna risposta.
I media siriani hanno anche documentato l’arresto di due fratelli, Bashar e Maher al-Mulhim, 14 e 17 anni, durante un raid delle SDF, appoggiate dalla coalizione internazionale, nella città di Al-Buseira, presso Deir el-Zor, il 16 settembre. I due sono stati portati via e la loro famiglia non ha alcuna informazione né su dove siano né delle indagini in corso. Le forze della coalizione internazionale e le Forze democratiche siriane non hanno mai fornito dettagli sulle inchieste che precedono raid e arresti, frequenti nel nord-est della Siria. Anche Maan, 36 anni, che vive a Al-Shuhail, nella regione di Deir el-Zor, laureato all’università di lingua inglese, è stato arrestato per terrorismo: “Non ho fatto altro che tradurre una dichiarazione degli insegnanti di Deir el-Zor in sciopero contro la corruzione dei dirigenti delle SDF nella regione. La traduzione era destinata alla coalizione internazionale. Non mi aspettavo di essere arrestato perché ho collaborato con chi combatte il terrorismo”. Al telefono Maan ci ha raccontato quella notte dell’11 agosto 2022, quando la sua casa è stata perquisita dalle unità antiterrorismo delle SDF: “Hanno cominciato a picchiarmi e a insultarmi. Hanno anche minacciato di picchiare mia madre quando è intervenuta. L’hanno strattonata”. Maan è stato quindi fatto salire su un veicolo blindato chiamato “Panzer”: “Mi hanno insultato durante tutto il tragitto verso la prigione. Avevano un pessimo accento arabo. Erano sicuramente dei curdi. L’ho capito quando uno di loro mi ha detto: ‘Voi arabi siete tutti Isis’. La stessa frase mi è stata ripetuta dall’agente che mi ha interrogato in carcere. È innanzi tutto a noi, la gente del posto – continua Maan amareggiato – che i miliziani dell’Isis hanno tagliato le teste. A Qamishli o in altre regioni curde, nessuno ha conosciuto gli stessi orrori”. Una volta alla prigione di Alomar, Maan è stato rinchiuso in una cella sovraffollata, dove è rimasto cinque settimane. Gli davano da mangiare cibo avariato, marmellata scaduta e olive. “Ma il pane almeno era buono”, ironizza. All’inizio della sesta settimana Maan è stato convocato per essere interrogato. “Ricordo soprattutto le botte e le scosse elettriche che mi infliggevano mentre mi chiedevano perché fossi ostile alle SDF. Spiegai loro che per me le SDF non erano nemici, ma che volevo cercare di correggere i loro errori. Ma per loro, se sei arabo e critichi le SDF, vuol dire che sei un uomo dello Stato Islamico”. Maan è stato rilasciato dopo aver versato una mazzetta di 600 dollari a un comandante delle SDF nella regione ed è tornato a casa. Ma i segni delle torture che ha subito segnano ancora la sua schiena. Gli abitanti della regione ormai evitano le SDF come evitano l’Isis, spiega Samer, sulla trentina, che vive a Al-Karamah, presso Raqqa. Il 7 settembre, mentre rientrava a casa, ha sentito una forte esplosione poco lontana.
Sul luogo dell’attacco
ha scoperto che un ordigno dello Stato Islamico aveva distrutto un veicolo militare delle SDF: “L’auto era in fiamme. All’interno c’era di sicuro qualcuno, dei membri delle SDF. Ma sono scappato via. In questi casi, le SDF arrestano i civili che si trovano nelle vicinanze dei luoghi degli attacchi accusandoli di far parte dell’Isis”. Per cercare di capire il metodo di lavoro delle autorità locali e come funzionano le operazioni militari delle SDF, Mediapart ha contattato Farhad al-Shami, responsabile della comunicazione con la stampa per le SDF. Ma benché abbia ricevuto e letto i nostri messaggi, al-Shami non ci ha fornito spiegazioni. Secondo la comunità locale, i servizi segreti delle SDF si basano principalmente su informatori locali che raccolgono e inviano rapporti alle Forze democratiche siriane che coordinano i raid. “Conosciamo gli informatori. Ma non possiamo garantire che le loro informazioni siano sempre corrette. Le inimicizie personali possono per esempio spingere gli informatori a accusare in modo infondato nei loro rapporti delle persone di essere collaboratori dello Stato Islamico. Queste persone rischiano allora di essere arrestate senza che siano fatte verifiche”, spiega Maan. Né l’aumento degli arresti da parte delle SDF a Raqqa e Deir el-Zor, né le operazioni militari effettuate nel campo di Al-Hol hanno del resto avuto un impatto sul numero di attentati portati avanti dallo Stato Islamico. È lecito dunque chiedersi se tutte le persone che vengono arrestate dalle SDF, accusate di essere terroristi, siano davvero membri dell’Isis o solo vittime di calunnie.