il Giornale, 21 novembre 2022
Ritratto di Goffredo Bettini
La frase che gli piace di più pronunciare è: «Sento aria di crisi».
Nelle crisi lui sguazza, nelle difficoltà sciaguatta, nelle emergenze diguazza. Vive di alleanze, apre e chiude porte, battezza correnti, fa nascere coalizioni, tesse relazioni, indica candidati, se ci sono due amici li divide, se ci sono due nemici fa da pontiere, è esperto di rimpasti, sa quando è tempo di congressi... Lui, secondo la filosofia delle terrazze romane, non vuole solo partecipare alla politica, vuole avere il potere di farla fallire. E ci è sempre riuscito.Sì, va bene. Ma che lavoro fa Goffredo Bettini? Risposta più semplice: il funzionario di partito fin dagli anni ’70. Risposta più complessa: rivoluzionario di professione sempre a galla, padrone per decenni della sinistra romana, che la sua pancia allatta e contiene, ora in apparente disarmo ma per questo ancora più pericoloso «Quello che conta non è il potere, è l’influenza che uno sa esercitare» Goffredo Bettini è, in fondo, uno che risolve i problemi di governo. Un po’ Mr. Wolf lui adora il cinema, che è una passione, ma ancora di più uno strumento famigliare di potere, la longa manus cultural-mondana chiamata festival che dà e che riceve e un po’ Nero Wolfe, il detective capace di venire a capo dei casi più intricati stando seduto a rimuginare sulla frusta poltrona di casa: «Io non sono un consigliere, sono solo uno che pensa. La mia forza è il disincanto». La nobilesca schiatta dei consigliori romani, che comincia con Cosmo Quorli e transita in Salvo Nastasi – la storia dei grandi camerlenghi che dominano i corridoi del Potere, al di qua e al di là del Tevere – in lui si sublima. Sciarpa extra long, centocinquanta chili, camminata incerta e bastone del comando. Goffredone imperatore di Roma.
Collage di appellativi e/o epiteti di Goffredo Bettini, guru e stratega del centrosinistra anni Novanta e Duemila, e oltre. Il Richelieu del Nazareno. Ras del Pd romano. Dominus capitolino. Gran Visir. Genio oscuro della Sinistra. Gran tessitore. Antipapa rosso. Kingmaker della politica romana. Burattinaio di mille trame.
Mistero Bettini, soprannominato Panzarella perché tutti gli pizzicano la pancia in segno di amicizia. Apparentemente uomo senza qualità, dice cose che sembrano banali e spesso sbagliate, non controlla i pacchetti di voti ma le Fondazioni sì assunzioni, posti, stipendi... – sempre la robba conta, si esprime con concettosi ragionamenti pieni di sensibilità de sinistra, suggerisce soluzioni di basso cabotaggio democristiano spacciandole per elaborazioni di alta strategia, eppure è ascoltato cum reverentia ac tremore dai vertici dem e suscita ancora una incomprensibile fascinazione sul mondo post comunista e le residuali brigate metalmeccaniche. Berlinguer 4.0 senza la Resistenza al fascismo.
Imperatore di «Roma potentona», ippopotamo dalla mente sottile, deus ex machina senza autista, senza auto blu, senza cariche, senza televisione e in tasca solo telefonini di modello archeologico – un Brondi o un Nokia – come solo i veri uomini di potere sanno permettersi, scuola Ingrao e realismo togliattiano, physique du rôle del monsignore, altro che monaco, camicioni come fossero tonache che sembra Aldo Fabrizi – Benvenuto reverendo! Goffredo Bettini, Sua Eminenza Grigia, ha fatto e disfatto la storia della sinistra italiana.
Storia triste, solitaria y final. Nel gruppo dirigente della Fgci romana, nella segreteria di Massimo D’Alema, responsabile della propaganda del Pci, padre padrone del magnificato modello Roma, inventore della candidatura a sindaco di Francesco Rutelli, mente del veltronismo, capo della comunicazione con Enrico Gasbarra alla Provincia di Roma, capo delle relazioni esterne della giunta Marrazzo, regista dell’operazione Ignazio Marino, padrino politico di Nicola Zingaretti – e intanto deputato, senatore, europarlamentare fra Pds, Ds, Ulivo e Pd, che ha inventato lui infatuazione e immediata rottura con Renzi («Goffredo aveva una strategia così raffinata da essere inesistente»), burattinaio del secondo governo Conte e ispiratore dell’asse Pd-grillini, sempre dietro le quinte ma con aristocratica eleganza.
Lombi aristocratici, romanissimo per nascita, figlio di Wilde Pasquali, che in prime nozze aveva sposato un principe musulmano, nipote di un pascià, e dell’avvocato Vittorio Bettini dei Rocchi Bettini Camerata Passionei Mazzoleni, nobile e grande proprietario terriero marchigiano Podere operaio – ottima educazione, ottimissime letture fra Lenin e Dostoevskij e il meglio dell’intellighenzia come amici di famiglia, Goffredo Bettini – settant’anni da poco, a proposito Auguri, e ci ricordiamo le feste di compleanno romane: bicchierate, un pezzo di centrosinistra e uno di centrodestra, da Giuseppe Provenzano a Gianni Letta, glamour, larghe intese e polpette al sugo – non ha mogli, non ha figli, solo una magnifica ossessione per il cinema e le bellezze turgide della Thailandia dove sverna da anni, organizza festival e dà consigli sulle cose italiane a dieci ore di fuso orario di distanza, sempre rilanciando la missione palingenetica della sinistra. Dalla Thailandia con amore. Il partito «Thailandia viva». La corrente thailandese del Pd.
Un po’ cicisbeo impomatato un po’ monarca senza regno, malinconico e goloso (va pazzo per le mozzarelle, i supplì e il profitterol invero sublime di Regoli, il più buono di Roma), amicissimo perfino della vecchia guardia dell’Msi dai tempi in cui era in Campidoglio, temutissimo dal popolo di Capalbio, nel senso che gli stanno tutti in soggezione, autorità suprema della presentabilità sociale (chi è nel suo elenco fa gara a farlo sapere), il vezzo di abitare sempre in appartamenti piccolissimi e modesti, scantinati e case-studio in cui ricrea ogni volta il medesimo habitat, niente comfort ma tanti sgabelli e poltroncine («Accomandati, mio caro...»), pantofole di pile e pile di libri, richiestissimo dai salotti e i gruppi editoriali, voce chioccia e vanità, quando va in tv pretende sempre di essere l’unico ospite del programma, da Barbara o chez Lilli, e alla fine della trasmissione arriva immancabile la telefonata dell’Ingegnere, De Benedetti. «Complimenti, sei stato bravissimo». Fa crollare gli ascolti, ma averlo in studio fa blasone.
Esponente più prestigioso dell’ala poltronista del Pd in eterna lotta con quella movimentista, sorta di ministro ombra alla Nostal’gija della sinistra post sovietica ferma agli anni Cinquanta e che sta sempre dalla parte sbagliata della Storia, Goffredo Bettini in realtà non ha mai elaborato il lutto per la morte del comunismo. Quando si sciolse il Pci si ammalò di depressione. E oggi sembra soffrire di una regressione infantile a quel mondo lontano... Nuovo libro firmato dal Kompagno Bettini: A sinistra da capo. Sunto: «Quando passeggio sulla Neva mi sento più a casa che nel deserto del Texas». «Stalin fu Asia. Lenin era Europa». «La sinistra deve riprendere la missione che ha perduto. La sinistra inizia da Spartacus». «Io sono contro il nuovismo senza idee».
Bettini sarà decaduto, ma il piglio dispotico gli è rimasto. Quanto alla sinistra, invece, non c’è neanche più. Ma restano le sfide, gli accordi, le strategie, le frasi fatte, i consigli («In politica si vince meglio quando nessuno ti prende sul serio»), le candidature, i favori, gli appoggi, i telefonini che squillano. «Ciao, sono Goffredo: tutto risolto».