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 2022  novembre 20 Domenica calendario

Riscoprire Ennio Flaiano

Se qualcuno mi chiede da dove cominciare a leggere Ennio Flaiano (autore citato, citatissimo fino allo sfinimento, ma sicuramente poco, pochissimo letto), non avrei dubbi. Dal suo epistolario, Soltanto le parole. Ma bisogna essere fortunati, il libro è esaurito e per ragioni misteriose (diritti?) non si ristampa. È il vero vademecum per entrare nella sua vita e nella sua opera, il ritratto di un uomo e di un intellettuale nei rapporti con scrittori, gente del cinema, giovani amici, di direttori di giornali che gli rifiutano un racconto. Un occhiale (lui l’avrebbe chiamato indiscreto) con cui guardare alle cose della vita, agli amici, alle donne, ai compari seduti di fronte, in un ristorante romano. Ma con un’indulgenza estrema che però sa rivoltarsi come un guanto per farsi scheggia aguzza, parodia implacabile, Flaiano non assolve nessuno, neppure sé stesso. È il ritratto sempre uguale e sempre diverso di un uomo drammaticamente incapace di distrarsi da quello che era, caustico nei confronti della società, sentimentale, ma anche molto polemico con gli amici, ironico, scontento di sé e scontentissimo del mondo. E insieme attento alla vita quotidiana degli italiani, alla irreversibile decadenza della Capitale «disordinata e ciabattona, dove gli amici sono tutti invecchiati, preoccupati di guadagnarsi la vita».
GLORIA
E così nelle lettere, c’è il dentro e il fuori di Ennio, la persona nascosta dietro la maschera, per le vie del vecchio borgo pescarese all’ombra della gloria dannunziana, nel giorno anzi nella notte anche infelice del suo trionfo al premio Strega, tra gli amici letterati da Cesaretto e poi, alle prese con la malattia di sua figlia, la ferita mai chiusa che lo accompagnerà per tutta la vita. E poi ancora nella sua avventura cinematografica tra luci e ombre, nella sfortuna vicenda di un Melampo di cui non riuscì a fare la regia come voleva. E nello straordinario viaggio, Oceano Canada, il suo testamento, un film bellissimo dove c’è lo scrittore, il giornalista di gran classe che era, sempre con il taccuino in mano, «moriremo prendendo appunti», diceva.
Oggi sono cinquant’anni dal secondo infarto che fu fatale per Ennio che viveva da qualche mese nella spoglia cameretta del residence di Via Isonzo, sul comodino il cubo con le foto della sua Lele, in un abbraccio sulla spiaggia di Fregene. Oggi lo ricorderanno un po’ dovunque. Ricorderanno le sue celebri battute, l’umorista, il satirico, lo sceneggiatore di Fellini che accetta la committenza e ne segue le regole per ciò che riguarda i filmacci, ma poi difende la qualità della sua invenzione quando si trova a scrivere storie in cui crede.
Flaiano ha davvero bisogno di essere riletto o comunque letto davvero per quello che è stato al di là delle mitologie, della flaianitudine di cui parlava Giovannino Russo, tutti lo citano, lo riusano, lo deturpano, lo inventano. I libri ci sono: grazie alla attenta cura editoriale da parte della moglie Rosetta, i manoscritti sono stati affidati a due istituzioni di prestigio, l’università di Pavia e la Biblioteca cantonale di Lugano. C’è il libro delle opere scelte da Bompiani, i volumi Adelphi, altri epistolari, le critiche cinematografiche, quelle teatrali, molti volumi di ricordi e testimonianze. Dinanzi all’opera ora raccolta pressoché integralmente e consultabile anche nei suoi singoli momenti, ci si imbatte in una salutare circolarità tra i generi, nella infinita ricchezza di appunti, aforismi, massime e brevi racconti. Uno straordinario scrittore poco attratto dall’architettura chiusa del romanzo, a parte la folgorante partenza di Tempo di uccidere, poi replicata solo in minima parte negli straordinari racconti di Una e una notte e di Melampus. Cerca di occultare il suo ritratto più veritiero vestendo i panni del fustigatore di costumi, del conversatore amabile e notturno, dello scettico salottiero, per disseminarvi a piene mani tutto il suo disincanto, la sua lucidità, la sua malinconica e brillante intelligenza.
Affascina la sua scrittura, la sua straordinaria capacità di osservare e raccontare il mondo, la spietatezza e il cinismo nel descrivere quel popolo e quel Paese che tanto amava, l’umorismo sottile misto a disincanto e la quieta malinconia, e poi quella faticosissima filosofia del rifiuto, la scrittura della disillusione, l’irriducibile volontà a non schierarsi, mai.
ZIBALDONE
Forse ha ragione Manganelli: l’opera di Flaiano è un immenso zibaldone che attraversa e contamina generi diversi dentro cui si può individuare un grande scrittore anche tragico nascosto dietro le sue maschere, «un paziente irrinunziabile gioco d’incastro e di metamorfosi attorno ad alcune idee centrali. Come l’equivalenza tra la vita e l’errore, la dolorosa perdita di certezze e di controllo di una realtà sempre più volgare e degenerata che nessuna ideologia e nessuna esperienza, nemmeno quella dell’amore, vale ad addolcire». Una visione anche molto moderna di chi non crede più nella totalità dell’opera, ma si frantuma, si disperde, coglie fino in fondo quella forma di dissipazione di sé e dell’opera che è l’immagine stessa della sua grandezza e anche della ragione per dobbiamo ancora leggerlo e lo leggeremo ancor più.