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 2022  novembre 20 Domenica calendario

Porchetta, crescita boom

Per tutti, la capitale della porchetta è Ariccia, sede del consorzio di tutela del marchio Igp. Essendo però cibo di strada e popolare, sfugge a ogni limitazione geografica. Una novantina i produttori concentrati principalmente tra Lazio e le altre due regioni che ne contendono l’origine, Abruzzo e Umbria (ma anche nelle Marche, Toscana, Sardegna e addirittura Veneto). All’interno dell’enorme mercato stabile della carne suina (in Italia se ne consumano mediamente 38 chili a testa, per un giro d’affari di oltre 12 miliardi di euro, di cui 8,2 in insaccati vari), la porchetta è una nicchia in controtendenza (sul resto della carne) e forte crescita. Trattandosi di un prodotto consumato per strada, non esistono cifre ufficiali: non meno di 250 milioni di euro è un dato attendibile più altri 50 milioni legati l’indotto (venditori ambulanti e prodotti di contorno). Un punto di forza è l’immagine rigorosamente artigianale e genuina del prodotto. I cosiddetti porchettari sono, infatti, esigenti sin dalla scelta degli allevamenti perché il prodotto finito viene solitamente esposto intero e l’equilibrio tra grasso e muscolo deve garantirne il sapore e la digeribilità. Significativo che a fronte di una sostanziale tenuta degli allevamenti di suini (8,5 milioni di capi nel 2021, come nel 2017) sia invece cresciuto di circa il 15% il numero dei capi finalizzati alla porchetta (dimensione più contenuta del maiale e razze autoctone italiane con il grasso allocato ai bordi).
GLI INVESTIMENTI
L’ulteriore incremento delle vendite è l’obiettivo dei maggiori produttori, a partire dal consorzio di Ariccia (un milione e mezzo di chili di produzione annua nei sette stabilimenti certificati) che «punta dice una nota - a ottimizzare le sinergie tra i produttori per affrontare il mercato e gli investimenti necessari in una dimensione internazionale». Già in cantiere sono, invece, gli investimenti per circa sette milioni di euro dell’abruzzese Venditti Food che prevede di assumere 140 persone nei prossimi tre anni (attualmente i dipendenti sono 60 con un giro d’affari di 7 milioni). La storia dell’azienda di Luco dei Marsi (l’Aquila) è una dimostrazione evidente di quel che la piccola e media impresa italiana può fare mettendo assieme tradizioni ed eccellenze agricole. Amministratore delegato è Raffaele Venditti, 37 anni, figlio di venditori ambulanti, laureato in economia (come la moglie Francesca con cui condivide l’impresa). Attualmente otto suoi food truck sono in giro ogni giorno per l’Italia, è presente nella grande distribuzione, in trattorie e nell’e.commerce. L’ulteriore espansione vede l’apertura entro primavera dei primi quattro ristoranti monomarca Venditti Street Food a Roma, Milano, Napoli e Firenze e di due all’estero Monaco e Copenaghen dopo Londra dove c’è già un temporary corner. «L’obiettivo afferma Venditti è lo sbarco negli Usa e l’avvio di attività di negozi in franchising che già nell’arredo richiameranno i nostri luoghi, per esempio con i sanpietrini come pavimenti». Una specificità sarà la tracciabilità dei prodotti. «Almeno il 75% sarà di nostra produzione», promette Venditti.
LA NUOVA OFFERTA
La scommessa dell’imprenditore abruzzese è cambiare «l’approccio dei consumatori, trasformando la porchetta da street food in prodotto di largo consumo». Oltre al tradizionale panino, proporrà la porchetta fresca da portare a casa nella logica del ready to eat, gli snack croccanti di maiale, i tranci sottovuoto e i tronchetti caldi. Il prototipo per rendere molteplici le modalità d’uso sono nati all’interno della Factory Venditti (5mila metri quadri, in cui i dipendenti si muovono da un reparto all’altro in monopattino elettrico), alla quale si è affiancata adesso l’A-kkademia, il centro di formazione aperto anche all’esterno. L’originale packaging in vassoio di porchetta affettata, come avviene da sempre per gli altri salumi, è già in vendita in alcune catene di supermercati, tanto da essere imitato da altri produttori. «Il punto di svolta racconta l’imprenditore è stato il fermo delle attività di strada durante il lock down. Sessanta dipendenti rischiavano di restare fermi, dovevamo pensare ad alternative allo street food».