Corriere della Sera, 20 novembre 2022
Storia criminale di Giandavide De Pau
Una sera di quasi dieci anni fa, a giugno 2013, l’allora quarantaduenne Giandavide De Pau detto «Davide il biondo» si presentò – forte della sua lunga fedina penale – in una villa di Montecompatri, alle porte di Roma, dove si festeggiava il primo compleanno del figlio del padrone di casa, inquisito per traffico di droga. Il montenegrino Nikola Todorovic, futuro collaboratore di giustizia, lo vide arrivare insieme «a un signore tutto allegro, e la gente correva a salutarlo, abbracciarlo». Todorovic chiese chi fosse e il padrone di casa gli rispose: «È zio Michele, amico mio intimo, lui comanda tutta Roma». Allora il futuro pentito si fece vedere da De Pau, che lo chiamò, lo abbracciò e lo presentò a «zio Michele», al secolo Michele Senese, il camorrista trapiantato a Roma negli anni Settanta diventato uno dei boss del crimine capitolino.
Quando Todorovic chiese altre notizie sullo «zio», il padrone di casa gli spiegò: «Io sono suo amico intimo,però con lui mi incontro tramite Davide e parlo a voce». Perché «Davide il biondo», di Senese, era «autista e factotum». Lo scrissero i carabinieri dopo averlo visto e filmato due mesi prima, il 30 aprile 2013, durante l’indagine chiamata «Mondo di mezzo» mentre s’incontrava – sempre al fianco di «zio Michele» – con Massimo Carminati, altro protagonista di cronache e romanzi criminali che nel gennaio precedente aveva salutato la scarcerazione di Senese: «So’ contento che è uscito Michelino!». Anche quell’appuntamento di fine aprile, sfociato in un’animata discussione, era stato organizzato attraverso De Pau che a fine giugno, quando «zio Michele» fu riarrestato, fu visto più volte alla stazione di benzina che Carminati utilizzava come «ufficio».
Come Senese detto «Michele ‘o pazzo» per via delle perizie compiacenti che gli permettevano di andare in manicomio anziché in carcere, De Pau è stato ospite dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo fiorentino. L’elenco dei suoi precedenti penali va dal traffico di stupefacenti, alla detenzione di armi, lesioni personali, violenza sessuale, violazione di domicilio e ricettazione.
Nel 2006 fu arrestato per il tentato stupro di una ventiduenne brasiliana in un appartamento ai Parioli dove era entrato fingendosi l’idraulico che doveva riparare la caldaia. E ieri in questura un poliziotto ricordava di quando sarebbe stato sorpreso a sparare con una carabina caricata a piombini contro alcune prostitute nel quartiere di Primavalle. Episodi che potrebbero aiutare a spiegare l’ultima terribile accusa di cui «il biondo» dovrà rispondere. Insieme alle crepe nella sua mente.
Tuttavia nel fascicolo del processo in cui è imputato per droga, estorsione, lesioni, tentato omicidio e reati connessi c’è molto altro, che non ha a che fare con la follia. Ci sono le intercettazioni che evocano le cene con Senese e alcuni suoi gregari, in costosi ristoranti tra cui uno in pieno centro frequentato indifferentemente da politici, professionisti e malviventi. E che dimostrano come De Pau fosse a conoscenza delle indagini a suo carico, senza che ciò lo frenasse nell’accanimento e nella carriera criminale.
In una conversazione registrata dalla micropsia che aveva in macchina, il 4 marzo 2014 minacciava ritorsioni verso i debitori: «Poi scateno addosso l’inferno, perché poi vi faccio vedere... i morti li ho fatti solo io...non me frega un c... Me se cambia la testa, capito?... Dopo divento freddo, non mi altero più... Dopo prendo e faccio in modo che la gente muoia, perché muoiono... muoiono di crepacuore, de coso e... devono morì, devono pagare». In un’altra intercettazione, un mese prima raccontava: «Una volta stavo intrippato, so’ andato co’ la pistola sotto da lui, “oh...dammi la robba...dammi la robba” [ride]... Si stava a mettere a piangere...». Qualche mese più tardi i carabinieri lo sentirono dire, sempre a bordo della sua auto: «Metto una mano in tasca... mi sono trovato un ferro», cioè una pistola nel gergo malavitoso, «con il colpo in canna, non riesco neanche a levagli il colpo». Temendo che si stesse preparando per andare a sparare a qualcuno organizzarono in fretta e furia un normale controllo su strada; fermarono De Pau che aveva la mano sinistra sanguinante e, sotto il sedile, una calibro 7,65 con matricola abrasa e quattro cartucce. Lui provò a spiegare la ferita dicendo di aver subito un’improbabile rapina, ma in casa c’erano chiare tracce dell’incidente del quale, evidentemente, parlava nella conversazione registrata: s’era ferito da sé mentre tentava di estrarre i colpi dall’arma.
Quel giorno fu arrestato, poi uscì ed è tornato di nuovo in carcere a dicembre 2020, nell’operazione contro il clan Senese chiamata «Alba Tulipano»: una retata di 60 persone (che sarebbero state 61 se Fabrizio «Diabolik» Piscitelli non fosse stato assassinato l’anno precedente) sfociata nel processo attualmente in corso. Il tentato omicidio di cui De Pau – tornato libero in primavera – è accusato di essere il mandante risale al 2013, ed è stato raccontato dal «pentito» Todorivic al quale era stato ordinato di uccidere due presunti debitori di 11.000 euro con una promessa: «Guadagnerai bene e zio Michele ti sarà grato».
Quella spedizione punitiva (a differenza di altre) fallì, ma gli inquirenti considerano le dichiarazioni del montenegrino riscontrate dalle intercettazioni in cui si sente «Davide il biondo» armeggiare con la pistola da utilizzare nell’attentato. E inveire contro una delle due vittime designate, da lui stesso foraggiata mentre si trovava in galera: «Sono stato pure a mandargli i soldi... Quando ho saputo l’infame che sei, i soldi tua preferisco darli a una zoccola... Manco 500 euro al mese, mortacci tua!».