la Repubblica, 20 novembre 2022
Chi è il killer delle prostitute di Roma
«Quando me se cambia la testa, capito? Dopo divento freddo, non mi altero più, prendo e faccio in modo che la gente muoia, perché muoiono... muoiono di crepacuore, devono morì, devono pagare... ». Giandavide De Pau un tempo sentenziava vita e morte. Decretava la fine di un creditore e concordava «nuove modalità di raccordo tra i gruppi» della malavita della Capitale. Ma dagli alti ranghi della criminalità romana è sceso fino agli scantinati dei palazzi dove le prostitute vendono i loro corpi per poche decine di euro, uccidendone tre in un paio d’ore, giovedì mattina. Una parabola discendente che coincide con il declino dell’impero malavitoso governato dal boss da sempre al centro delle consorterie romane, Michele Senese o’ Pazzo. Del capo dei capi, De Pau era l’autista, il guardaspalle, uno scagnozzo. Una qualifica ottenuta presentando un curriculum di tutto rispetto, narrato dagli atti delle inchieste e dai numerosi precedenti penali che non sono bastati ad assicurargli un lungo soggiorno nelle patrie galere. Arrestato nel dicembre 2020, il mese dopo era già ai domiciliari grazie ad alcuni permessi. Nato il 25 giugno 1971, nel 2008 l’allora 37enne varca le porte dell’ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino per un «disturbo antisociale della personalità», un problema rimediato nel corso di una vita trascorsa tra droga, armi, «violazione di domicilio», «ricettazione», «lesioni personali». E anche una «violenza sessuale», un fattaccio avvenuto nel 2006 dalle parti dei Parioli, quando per la prima volta, a 35 anni, mostra la sua rabbia contro le donne che si prostituiscono. «Signora apra, sono un tecnico della caldaia», dice alla 21enne brasiliana che apre la porta prima che De Pau, Beretta in mano, le salti addosso. La donna poi fugge gettandosi dalla finestra e il finto operaio, anche lui seminudo, la insegue invano. Lei finisce in ospedale, lui in carcere, grazie ai carabinieri. Gli investigatori ricordano anche un altro episodio: quando De Pau spara con un fucile a pallettoni all’indirizzo di alcune prostitute che lavoravano in strada. Il secondo ricovero risale al 2011, sempre nella stessa comunità toscana. Ma dura poco. Quindi De Pau scala le gerarchie criminali e da semplice malacarne diventa uomo di fiducia del boss, di Michele Senese, dell’uomo della camorra a Roma.
«Giandavide sarà pure quello che è… però lui non lo fa notare», dice nel 2012 un criminale di lungo corso come Fabio Gaudenzi all’amico fidato, un pescecane del calibrodi Massimo Carminati. «Lui (Senese, ndr) se lo porta che fa l’autista», continua muovendo a compassione il rinomato interlocutore: «Poverello, gli vogliono da’ la sorveglianza ». De Pau in quegli anni è sposato e ufficialmente lavora insieme ad Angelo Carminati, il fratello di Massimo, per la Professional e Partners group, rivelano gli atti dell’inchiesta un tempo nota come “Mafia Capitale”. Ma, secondo l’antimafia, è tra le floride piazze di spaccio di Roma Sud che fa affari.
Il 29 aprile 2013 «incontrava Carminati Massimo presso il distributore Eni di Corso Francia». E il giorno seguente «accompagnava Michele Senese all’incontro avuto con Massimo Carminati e presenziava in parte allo svolgimento dello stesso, nei pressi del bar La Piazzetta », scrivono i pm. «Il 2 luglio 2013, alle ore 18,51, ovvero pochi giorni dopo l’arresto di Michele Senese, nei pressi del tabaccaio adiacente all’esercizio commerciale Blu Marlyn di Corso Francia, veniva documentato un incontro tra Massimo Carminati e Giandavide De Pau». Dovevano «instaurare nuove modalità di raccordo tra i rispettivi gruppi di riferimento alla luce dell’intervenuto arresto del Senese». Con il capo in gabbia, De Pau andava in giro mostrando gradi e violenza: «Gli vuoi bene alla tua famiglia? Ti faccio ammazzare a tutti (tuo figlio, ndr) tanto te lo ammazzo, è morto!», diceva a un creditore. E ancora: «Scateno addosso l’inferno… i morti li ho fatti solo io». Poi l’operazione Tulipano, nel dicembre 2020. Quindi l’arresto per aver fatto parte di un’associazione che agiva con metodi mafiosi. E di nuovo la ritrovata libertà tra escort e cocaina. Così tanta da averlo mandato in tilt, dice lui a proposito del triplice omicidio commesso giovedì scorso: «Non ricordo nulla, c’era solo tanto sangue».