la Repubblica, 20 novembre 2022
Ponte sullo Stretto, resuscita la spa degli sprechi
Quando fu fondata il Capo dello Stato era Sandro Pertini, il presidente del Consiglio Arnaldo Forlani, gli azzurri non avevano ancora vinto il Mundial e nella hit italiana del momento, Maledetta primavera, Loretta Goggi si chiedeva «che fretta c’era». E di fretta, in effetti, non ce n’è stata: la “Stretto di Messina spa”, la società che probabilmente domani il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini farà resuscitare per sovrintendere alla realizzazione del Ponte, è stata creata a giugno 1981 e da allora è costata allo Stato oltre 300 milioni senza fare, letteralmente, alcunché. Con un paradosso anche nel suo epilogo: nel 2013, dopo l’ultimo stop al progetto, il governo Monti la mise in liquidazione, ma quel percorso, affidato poi all’ex capo di gabinetto di Giulio Tremonti, Vincenzo Fortunato, non si è ancora completato. E dire che alla liquidazione era stato assegnato un anno di tempo.
L’ultimo bilancio racconta di un risultato di esercizio minimo, 47.095 euro, ma la società non ha ancora smesso di funzionare. Anche perché nel frattempo sono piovuti ricorsi su ricorsi: Fortunato – al quale secondo il sito della società è stato accordato un compenso di 120mila euro all’anno fino al 2020 e di 100mila da allora – si è trovato subito a dover fronteggiare il contenzioso da 700 milioni con Eurolink, il consorzio capeggiato da Salini-Impregilo che nel 2003 si era aggiudicato la gara per realizzare l’opera. A quella disputa, poi, se ne sono aggiunte diverse altre, inclusa per paradosso quella intentata proprio da “Stretto di Messina spa”: nel 2017, infatti, la società ha chiesto il risarcimento dei soldi spesi in 32 anni di attività, 325 milioni di euro. A chi? Al ministero delle Infrastrutture, cioè allo Stato.
Peccato però che proprio lo Stato sia il proprietario della società. Il capitale dell’azienda ammonta a 383 milioni: l’81,8 per cento è in mano all’Anas, il 13 è controllato da Rete ferroviaria italiana e il rimanente 5,2 è diviso in parti quasi uguali fra le Regioni Calabria e Sicilia. Soci che adesso rischiano di doversi far carico di un lungo elenco di spese: oltre ai 100mila euro annui per Fortunato ci sono infatti i 214mila del personale distaccato (visto che l’azienda, ovviamente, non ha più dipendenti diretti, ma se li fa “prestare”), 55mila per le consulenze legali, 50mila di altri costi, 20mila per il collegio sindacale e 13mila per la revisione dei conti, affidata a Ernst & Young. Così, negli anni, la società ha accumulato un debito che secondo l’ultimo bilancio ammonta a 24,8 milioni. «La revisione contabile – si legge nella relazione di Ernst & Young – non consente di escludere che il commissario liquidatore possa richiedere agli azionisti di effettuare ulteriori versamenti per il pagamento dei debiti sociali». Per una società che per legge sarebbe dovuta andare in archivio nel 2014. Ma d’altronde «che fretta c’era».