la Repubblica, 20 novembre 2022
Boom di sbarchi
ROMA – C’è un numero, 15.374, quello degli sbarchi nelle ultime tre settimane in assoluta assenza di Ong nel Mediterraneo, due su tre con grandi pescherecci partiti dalla Libia orientale, che imbarazza il governo perché rischia di demolire il senso della crociata contro la flotta umanitaria. E ce n’è un altro, 50.000, quello degli arrivi complessivi dalla Libia, che preoccupa perché è la cartina di tornasole di quanto, a fronte degli appena rinnovati accordi e finanziamenti al governo di Tripoli, l’Italia non abbia più da tempo interlocutori affidabili dall’altra parte del Mediterraneo. Un terzo numero, 19.113, quello degli egiziani approdati in Italia (che superano i tunisini da anni in testa alle nazionalità di chi riesce ad arrivare), conferma i timori che ormai si fanno strada da mesi: è dalla Cirenaica, dalle spiagge al confine tra Libia ed Egitto, che i trafficanti di uomini fanno partire a ritmo sempre più intenso grandi barconi con 5-600 persone a volta che riescono ad arrivare fino alla zona Sar italiana assicurandosi poi il soccorso della guardia costiera italiana e lo sbarco nei porti siciliani o calabresi. Perché questa pressione crescente sull’Italia? Ad ottobre gli sbarchi sono stati praticamente il doppio del 2021, a novembre nonostante il maltempo non c’è stato un solo giorno senza arrivi. Scenari e numeri a fronte dei quali l’ambizione del governo Meloni di «governare e non subire i flussi», come dice il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, non è supportata da alcuna strategia se non quella di bloccare le Ong. Che – vale ricordarlo – nel 2022 hanno portato in Italia solo 10.276 persone delle 93.629 sbarcate. Ecco perché, al ritorno da Bali, e alla vigilia di una settimana clou per gli impegni che l’Italia intende strappare all’Europa sulla gestione dei flussi migratrori, la premier ha convocato i ministri interessati ma anche il capo del Dis Elisabetta Belloni e il sottosegretario con delega ai Servizi Alfredo Mantovano.Nord Africa fuori controllo?Prima di mettere nero su bianco le proposte che venerdì Piantedosi porterà ai ministri dell’Interno europei convocati dalla Commissione in seduta straordinaria, è ai responsabili dei Servizi che la Meloni ha chiesto una previsione concreta di quello che l’Italia deve attendersi per i prossimi mesi. La prospettiva di chiudere l’anno superando quota 100.000 sbarchi ( come non avveniva dal 2017) sembra ormai certa. E del tutto evidente è che non basta sventolare il vessillo del ritorno della politica dei porti chiusi alle Ong per frenare i flussi. Che, a dispetto del fantomatico rapporto di Frontex che nessuno ha mai visto, non risentono della presenza in mare delle navi umanitarie e sono invece decisamente mossi dalle sempre più difficili condizioni di vita nei Paesi di origine dei migranti e dall’instabilità dei governi di un Nord Africa che appare sempre più fuori controllo. Dalla Libia, alla Tunisia, all’Egitto, l’Italia fa evidentemente fatica a trovare interlocutori affidabili a cui chiedere di fermare le partenze ormai sempre più spostate verso la Cirenaica. L’idea del governo di un Piano Mattei per l’Africa è al momento nientedi più che una nebulosa. Difficile dunque presentarsi in Europa pretendendo rigore contro le Ong e responsabilità degli Stati di bandiera in assenza di qualsiasi strategia immediata per affrontare il vero nocciolo della questione.La rotta balcanica in crescitaIl 25 novembre a Bruxelles, per altro, il Piano che verrà proposto dalla Commissione europea non potrà prescindere da un altro numero: 128.438, quello degli ingressi in Europa dalla rotta balcanica, poco meno della metà dei 275.500 ingressi illegali alle frontiere Ue segnalati da Frontex (+ 73 % sul 2021, il numero più alto dal 2016), decisamente di più dei 93.000 arrivi via mare in Italia. Migranti che puntano nella stragrande maggioranza ad arrivare nei Paesi del centro nord Europa, come confermato dal numero molto più alto di richieste d’asilo che Germania e Francia ricevono rispetto all’Italia. E dunque, nel valutare pesi e oneri di un’accoglienza condivisa come chiede con forza l’Italia, la Commissione europea non potrà non tenere conto del fatto che la porta d’ingresso in Europa più battuta è quella della rotta balcanica e non quella del Mediterraneo.I nuovi arrivi dall’UcrainaE poi c’è l’inverno ormai arrivato in Ucraina e il timore che la prospettiva di una guerra ancora lunga in condizioni di vita sempre più proibitive possano muovere un’altra ondata di profughi verso quei Paesi che già adesso sostengono il peso maggiore dell’accoglienza, Polonia e Germania su tutti ma anche l’Italia che ha già superato la quota di 150.000 rifugiati prevista dal governo Draghi. Movimenti di decine di migliaia di persone sullo scacchiere europeo che rischiano di condurre la trattativa tra i 27 Stati Ue al solito impasse. Soprattutto se i numeri dimostrano che l’Italia non è alle prese con nessuna emergenza immigrazione.